C’era una volta in un paese lontano un povero vecchio mugnaio.
L’uomo aveva tre figli e per farli crescere aveva ormai speso tutti i suoi risparmi; i suoi unici beni erano un vecchio mulino, un asino ed un gatto grigio.
Il mugnaio era molto vecchio ed un giorno, sentendosi ormai vicino alla morte, radunò i suoi ragazzi e gli disse:
“Miei cari, voglio dividere tra di voi i miei averi. A te, che sei il più grande, lascio il mulino. A te invece l’asino e a te, che sei il più piccolo, lascio il mio amato gatto.”
Pochi giorni dopo il mugnaio morì.
Il giovane che aveva avuto in eredità il gatto non era per nulla soddisfatto.
“Non è giusto”, si lamentava, “i miei fratelli possono mettersi d’accordo, lavorare e guadagnarsi da vivere con il mulino e l’asino, ma io che cosa ci faccio con un gatto? Potrei solo mangiarmelo e poi cucirmi un bel manicotto con il suo pelo per scaldarmi le mani d’inverno!”
Ascoltando quelle parole, subito il gatto drizzò le orecchie e, molto preoccupato di finire davvero arrostito, decise di intervenire in aiuto del suo nuovo padrone.
“Non disperarti così, padrone mio!”, disse con un sorriso furbo. “Fidati di me, troveremo un modo per sopravvivere! Prima di tutto devi procurarmi subito un paio di stivali di cuoio, un cappello con la piuma ed un sacco di tela robusta.”
Il giovane era un po’ stupito, perchè proprio non riusciva ad immaginare che cosa avrebbe potuto fare un gatto con un cappello, un sacco di tela ed un paio di stivali.
Alla fine però, pensando che in fondo non aveva nulla da perdere, decise di accontentarlo e, con i pochi risparmi che possedeva, procurò al gatto tutto ciò che gli aveva chiesto. Così, dopo aver indossato gli stivali ed un bel cappello rosso, salutò il padrone e si diresse nel bosco.
Qui catturò un grande coniglio selvatico, lo infilò nel sacco e si incamminò tutto allegro verso il palazzo del re.
“Voglio essere ricevuto dal re in persona!”, disse alle guardie che lo accolsero stupite all’ingresso, ma lo fecero entrare.
“Che cosa desideri?”, chiese il re, incuriosito, trattenendosi a stendo dal ridere per il buffo abbigliamento dell’animale.
“Devo consegnarvi un dono da parte del marchese di Carabas, il mio padrone”, rispose il gatto con un solenne inchino.
“Anche se non lo conosco”, disse il re che era ghiottissimo di selvaggina, “ringrazia molto il tuo padrone da parte mia!”
Nei mesi seguenti il gatto continuò a portare a palazzo diversi doni provenienti da tutte le terre del marchese di Carabas ed il re era sempre più curioso di scoprire chi fosse mai questo misterioso e generoso marchese.
Un giorno, durante una delle sue visite, il gatto udì che il re e sua figlia, la mattina seguente avrebbero fatto una passeggiata in carrozza lungo il fiume.
“Domani vai al fiume e fai un bagno nel punto che ti indicherò”, disse il gatto al padrone, “fidati di me e presto diventerai molto ricco.”
Il ragazzo seguì le sue istruzioni, si immerse nell’acqua ed ecco arrivare la carrozza del re.
Il gatto corse gridando: “Aiuto! Aiuto! Hanno derubato il mio padrone, il marchese di Carabas! Lo hanno spogliato e gettato nel fiume.
Vi prego, aiutatemi a salvarlo perchè non sa nuotare!”
Il re a quelle grida riconobbe immediatamente il simpatico gatto che aveva portato tanti doni a corte.
Fece fermare la carrozza, ordinò alle guardie di soccorrere il marchese di Carabas, lo fece vestire con un elegante abito nuovo ed invitò il ragazzo, che ora sembrava proprio un gentiluomo, a salire sulla carrozza.
Mentre la carrozza avanzava lentamente lungo la strada, il gatto cominciò a correre avanti, precedendola.
Arrivò in un campo dove i contadini stavano mietendo il grano e con aria minacciosa gridò:
“Quando passerà di qui la carrozza del re, dite che queste terre appartengono tutte al marchese di Carabas, altrimenti ve ne pentirete!”
Così , quando la carrozza si avvicinò, il re chiese di chi fossero quelle terre e quei campi coltivati.
“Ma come sire, non lo sapete? Appartengono tutte al marchese di Carabas!”, risposero in coro i contadini.
Il gatto con gli stivali sapeva perfettamente che in realtà tutti quei terreni appartenevano ad un orco, famoso per la sua magia, che abitava in un castello da quelle parti.
Correndo all’impazzata per arrivare primo, giunse davanti al castello ed entrò dalla porta principale con passo deciso.
“C’è nessuno qui?”, gridò con fare impertinente.
Finalmente arrivò il padrone, un omone gigantesco, con gli occhi cattivi che con una voce minacciosa chiese:
“Come ti permetti di entrare nel mio castello senza essere invitato?”
“Signore, ho sentito dire cose incredibili sui vostri poteri magici …ho sentito che potete trasformarvi in qualunque animale! Vorrei proprio vedere se è vero!”, rispose il gatto.
L’orco, irritato che qualcuno osasse mettere in dubbio i suoi poteri magici, si trasformò in un grosso leone.
Il gatto, che era un furbacchione, disse: “E riuscireste a trasformarvi anche in un animale molto piccolo?”
L’orco diventò un topolino ed il gatto, velocissimo, allungò una zampa e lo divorò in un sol boccone!
Allora si precipitò alla porta principale e, non appena la carrozza giunse davanti all’ingresso, gridò:
“Benvenuto nel magnifico castello del mio signore, il marchese di Carabas! Vi prego, entrate.”
Il re non riusciva a credere ai suoi occhi! E neppure il giovane, che era ancora più sbalordito, ma si fece coraggio e invitò subito il sovrano e la principessa a visitare insieme il castello.
La giovane fanciulla guardava con occhi sempre più innamorati quel giovane bello e dai modi gentili che accompagnava suo padre.
Entrando, si resero conto che il castello era davvero splendido. C’erano moltissime sale, lunghi corridoi e si sarebbero sicuramente smarriti se non ci fosse stato il gatto che, sicuro di sè, con i suoi stivali, faceva da guida.
Dopo averli condotti nei saloni più sontuosi, si fermò in uno davvero immenso, con una tavola imbandita di mille piatti prelibati.
Il banchetto era già stato preparato dall’orco che aveva intenzione di invitare alcuni suoi amici orchi quella sera …ma ormai il gatto, con il suo piano perfetto ed astuto, aveva rovinato proprio tutto!
“Che splendida tavola! E che ricchezza di piatti avete fatto cucinare: selvaggina, dolci di ogni tipo, vino delle qualità più pregiate! Siete davvero generoso!”, esclamò il re.
Si sedettero insieme, mangiarono e riuscirono a bere tutto il vino rosso e bianco; anche il gatto, con tutto quel correre, aveva un tremendo appetito.
Il re intanto si accorse degli sguardi dolci che sua figlia gettava al marchese e di quanto il giovane fosse incantato dalla bellezza della principessa.
Durante il banchetto decise che quel giovane ricco e gentile poteva essere degno di sua figlia, che fino ad ora non si era mai interessata a nessuno dei numerosi prìncipi venuti da lontano per chiedere la sua mano.
“Caro marchese vedo che mia figlia vi guarda in modo davvero speciale”, esclamò il re ad un tratto, “se l’intuito non mi inganna, mi pare che anche voi l’amiate molto. Sarei felice di vederla vostra sposa e di festeggiare presto le nozze.”
Il gatto, soddisfatto, sorrideva sotto il cappello.
Il suo padrone non ci pensò nemmeno un minuto. “Maestà, non potevate farmi regalo più bello! Sono davvero onorato di sposare vostra figlia, mi sono innamorato di lei appena l’ho vista nella vostra carrozza”, rispose. Alla principessa brillavano gli occhi dalla gioia e la data delle nozze fu fissata per il giorno dopo.
Il matrimonio venne celebrato nel palazzo del re e tutte le famiglie più importanti del regno erano presenti. Vennero organizzati ricchi banchetti e festeggiamenti in tutte le piazze del reame, perchè anche il popolo potesse partecipare alla gioia di quel momento.
Per tre giorni e tre notti il paese fu in festa e si sentivano canti di gioia che auguravano agli sposi una lunga vita insieme, piena di felicità.
Così il povero figlio del mugnaio divenne un principe ricchissimo e molto amato da tutti i suoi sudditi.
Il gatto con gli stivali, che gli aveva procurato tanta fortuna, fu sempre trattato da gran signore, non ebbe più bisogno di procurarsi il cibo nei boschi e divenne il consigliere personale del re.
Di tanto in tanto dava ancora la caccia a qualche topo, ma lo faceva solo per divertimento!
Favola di Charles Perrault