“Dopo l’ennesimo episodio di lite tra medici per la gestione di un parto, in cui a subirne le conseguenze sono ancora una volta una madre e un bambino, dobbiamo interrogarci su quale sia la strada da intraprendere. Una delle possibilità per ridurre le conseguenze di simili episodi è la partoanalgesia, che nel 2010 dovrebbe essere un diritto per tutte le donne“. Così Vincenzo Carpino, presidente dell’Aaroi-Emac (Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani emergenza area critica), interviene sulla presunta lite tra due ginecologi avvenuta nel reparto di ginecologia dell’ospedale Papardo di Messina.
La partoanelgesia per partorire senza dolore
“Il parto indolore, che secondo alcuni può sembrare un lusso – aggiunge Carpino in una nota – diventa una necessità nei travagli molto lunghi, in caso di mal rotazione del feto nel canale del parto, in donne molto giovani ed emozionalmente impreparate e in primipare attempate con tessuti non più del tutto elastici. E diventa una prescrizione in caso di patologie materne quali diabete, cardiopatie, depressione e in alcune patologie oculari. In Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna, dove vi è una bassa percentuale di cesarei, ben il 70% dei parti spontanei avviene in analgesia peridurale“.
I limiti della partoanelgesia in Italia
Ben diversa sembra essere la situazione in Italia. “Negli anni scorsi – sottolinea Carpino – si è tentato di diffondere la partoanalgesia, ma la scarsità di risorse umane (medici anestesisti rianimatori e ostetriche) e soprattutto economiche ha di fatto permesso l’applicazione di tale tecnica a non più del 15% circa dei parti nel nostro Paese (garantendo un servizio gratuito 24 ore su 24)”.
La necessità di ridurre il numero dei cesarei
“Nell’ultimo decennio – prosegue Carpino – tutti gli addetti ai lavori hanno ritenuto che fosse necessario implementare la partoanalgesia per ridurre il numero dei cesarei, dato ormai fuori controllo. Ma solo a febbraio 2010 la partoanalgesia è stata inserita nei Lea (Livelli essenziali di assistenza) che all’articolo 37 punto 3 recita così: ‘Il Servizio sanitario nazionale garantisce le procedure analgesiche nel corso del travaglio e del parto vaginale in alcune strutture individuate dalle regioni e all’interno di appositi programmi volti a diffondere l’utilizzo delle procedure stesse. Le regioni adottino adeguate misure per disincentivare il ricorso al parto cesareo in un numero di casi superiore a un valore percentuale/soglia sul totale dei parti, fissato dalle stesse regioni’“.
La scarsità di risorse negli ospedali italiani
“Prescrizioni che – precisa Carpino – sono a rischio a causa della manovra finanziaria varata lo scorso giugno che si scaglia sulle risorse, i finanziamenti alle Regioni, il turnover e il rinnovo dei contratti a termine. E’ fin troppo semplicistico – conclude – addossare sempre e solo la responsabilità agli ostetrici ginecologi che fanno troppi cesarei perché, in quanto intervento di elezione, consente di programmare l’evento nascita, di stare meno in sala parto e di accontentare la propria assistita che non vuole soffrire“.