Ben presto si diffuse per tutto il mondo la gloriosa fama dell’immortale bellezza di Biancabella; e molti re, principi e marchesi venivano da ogni parte, con la speranza di conquistare il suo amore e la sua mano. Ma nessuno di loro fu giudicato alla sua altezza, poiché tutti difettavano in qualcosa. Finalmente un giorno si presentò Ferrandino, re di Napoli, il cui valore e gloria erano noti a tutti; e rivolgendosi al marchese, gli chiese la figlia in moglie. Il marchese, vedendolo bello e valoroso, oltre che molto potente e ricco, concesse le nozze; e chiamata la figliuola, la presentò al futuro marito, il quale la prese per mano e la baciò. Si era appena sposata, che Biancabella si ricordò delle parole che Samaritana sua sorella amorevolmente le aveva detto; allora si allontanò dallo sposo, e fingendo di voler fare certi suoi affari, se ne andò in camera, e, chiusasi dentro, se ne sgattaiolò fuori in giardino senza farsi vedere, e a bassa voce cominciò a chiamare Samaritana, ma quella non venne, allora Biancabella si meravigliò molto; e non trovandola da nessuna parte del giardino, si rattristò molto, temendo che fosse capitato per colpa sua, per non essere stata attenta alle sue raccomandazioni. Onde rammaricandosi tra sé stessa, ritornò in camera; ed aperto l’uscio, si pose a sedere appresso il suo sposo, che lungamente aspettata l’aveva. Alla fine della festa di nozze, Ferrandino tornò a Napoli con sua moglie, dove con gran pompa e glorioso trionfo e sonore trombe gli sposi furono ricevuti con grande onore.
Fingendo d’amarla
Il caso volle che Ferrandino avesse una matrigna con due figlie brutte e perfide; essa desiderava che almeno una di loro potesse convogliare a nozze con il figliastro, ma avendo perso ogni speranza che ciò potesse accadere, cominciò a covare nei confronti di Biancabella odio e rabbia, da non volerla più vedere né sentire, fingendo però tuttavia d’amarla ed averla cara. Destino volle che il re di Tunisi fece e non fece pur di dichiarare guerra a Ferrandino: non so se questo fu a causa del suo matrimonio, o per un’altra ragione; e col suo potentissimo esercito varcò ben presto i confini del suo reame. Allora Ferrandino dovette per forza affrontasse il nemico in guerra; allora si preparò a partire, e raccomandò Biancabella, che era incinta, alla matrigna, e poi partì con il suo esercito.
Vedendola così bella
Non passarono molti giorni, che la malvagia matrigna decise che Biancabella doveva morire; e chiamati certi suoi fidati servi, e ordinò loro che la portassero lontano per ucciderla, consegnandole poi qualche segno della sua morte. I servi, pronti ad ubbidire e fingendo di andare in un certo posto, la condussero in uno bosco dove si prepararono ad ucciderla: ma vedendola così bella e graziosa, gli venne pietà, e non se la sentirono di toglierle la vita. Allora le tagliarono entrambe le mani e gli occhi dal capo, e li portarono alla suocerastra come prova della sua morte. A quella vista, la cattiva donna si rallegrò il cuore. La matrigna seminò poi nel regno la notizia che la giovane sposa si era gravemente ammalata, e che le sue due figlie, contagiate dallo stesso malanno, non avendo resistito, erano morte; ma lei una la nascose e l’altra la mise nel letto della regina, a fingere di essere Biancabella.
Rimase di stucco
Ferrandino, che ben presto uscì vittorioso dal conflitto, si apprestava a ritornare gloriosamente a casa, e credendo di ritrovare la sua diletta Biancabella tutta festosa e gioconda, la trovò invece smagrita e malaticcia che giaceva ferma in un letto. Ed accostatosi a lei, e guardandola fisso nel volto e vedendola così deturpata, rimase di stucco, non riuscendo a riconoscerla; allora la fece pettinare, ma invece di gemme e pietre preziose che in passato le cadevano dalla testa, adesso uscivano grossissimi pidocchi le divoravano il volto: e dalle mani, dove prima uscivano rose e fiori, ora era tutta sporcizia e luridume che stomacava chi le stava vicino. Ma la scellerata donna lo confortava, e gli diceva che questa disgrazia avveniva a causa della lunga malattia che l’aveva indebolita.
Fiaba di G.F.Straparola