Un giorno che il Re dava un pranzo di gala agli ambasciatori del Sultano, Cassandrino disse al capo dei cuochi: “Lasciate a me solo l’incarico di tutto: vi prometto un pranzo mai più visto.” Il capo sghignazzò, sprezzante: “Povero sguattero scimunito!” Ma Cassandrino insistette con tanta convinzione che il capo disse: “Rispondi di tutto sulla tua testa?” “Sulla mia testa.” I cuochi e il loro capo andarono a passeggio, e Cassandrino restò nelle cucine. Pochi minuti prima di mezzogiorno salì nella sala da pranzo e distese la tovaglia miracolosa in un angolo della tavola immensa. “Tovaglia! Tovaglia! Sia servito un banchetto di cinquecento coperti, tale da sbalordire il Re, la Corte, gli Ambasciatori, tale da confondere tutti i cuochi della terra!” Ed ecco biancheggiare le tovaglie finissime, scintillare i cristalli e le argenterie, e profondersi le pietanze più raffinate, i pasticci dall’architettura fantastica, le cacciagioni prelibate, i pesci rari, i frutti d’oltre mare, i vini delle isole del sole.
Giunse l’ora del pranzo e i commensali furono entusiasti. Il Re chiamò il capo dei cuochi e volle onorarlo dei suoi complimenti in presenza di tutta la Corte. Il capo, da quel giorno, affidò a Cassandrino la direzione delle cucine, appropriandosi tutti gli elogi. Cassandrino saliva ogni giorno, solo, nella sala da pranzo, pochi istanti prima del pasto: si chiudeva a chiave, e ne usciva quasi subito; le mense reali erano imbandite.
Lo spiò dalla toppa
La servitù cominciava a sospettarlo di stregoneria. L’ancella della principessa, più scaltra degli altri, lo spiò un giorno dalla toppa e vide l’apparizione improvvisa delle vivande. Subito confidò la cosa alla padrona. “Principessa, l’uomo dalla borsa è ancora nel palazzo sotto le spoglie del capo dei cuochi; e possiede una tovaglia che opera tutto l’incantesimo!” “Bisogna avere quella tovaglia!” disse la principessa. “L’avremo!” assicurò l’ancella. E la notte seguente forzò lo stipo dove Cassandrino chiudeva la tovaglia e la sostituì con una tovaglia comune.
Le tavole restavano deserte
L’indomani, all’ora di pranzo, Cassandrino distese inutilmente la tovaglia e ripeté invano la formula imperativa. Le tavole restavano deserte. “Eccomi gabbato una seconda volta! Ma non importa, mi vendicherò!” E uscì dal palazzo e ritornò al paese natìo. Si presentò al fratello mercante, che lo abbracciò e gli domandò delle sue avventure. Cassandrino gli confidò i suoi casi non lieti. “Mi hanno rubato la borsa e la tovaglia, ma se tu volessi potresti aiutarmi a ricuperare il tutto.” “E come, fratello mio?” “Imprestandomi per qualche giorno il mantello fatato.”
Il mantello rendeva invisibili
Il mercante esitò; il mantello che rendeva invisibili e aboliva le distanze gli era necessario pel suo commercio. Ma Cassandrino tanto supplicò che ottenne il mantello. Col mantello aperto e sorretto alle estremità dalle braccia tese, giunse in un attimo alla città, salì invisibile le scale del palazzo, s’introdusse nelle stanze della principessa: questa dormiva e Cassandrino le coprì il volto con un lembo del mantello. “Per la virtù di questo mantello, desidero essere trasportati entrambi alle Isole Fortunate.” Il mantello li avvolse come in una nube cupa e vertiginosa e pochi secondi dopo li deponeva in un boschetto di palmizi, nell’isole remote.
Fiaba di Guido Gozzano