Ora, quando il paese fu pieno di femmine, il re le fece mettere in fila e cominciò a camminare, come fa il Gran Turco quando entra nel Serraglio per scegliere la migliore pietra da mola per affilare il suo coltello damaschino; e, andando e venendo su e giù, come una scimmia che non sta mai ferma, e covando e squadrando questa e quella, una gli sembrava storta di fronte, una di naso lungo, chi di bocca larga, chi di labbra grosse, questa troppo alta, quella troppo bassa e malfatta, chi troppo gonfia, chi eccessivamente gracilina; la spagnola non gli piaceva per il suo colorito gialliccio, la napoletana non gli andava a genio per i tacchi con cui cammina, la tedesca gli sembrava fredda e gelata, la francese col cervellino troppo leggero, la veneziana una conocchia di lino con i capelli sbiaditi. Alla fine della fine, chi per una ragione e chi per l’altra, le mandò tutte via con una mano davanti e una mano di dietro; e, vedendo che tante belle facce erano andate a male, deciso a ingozzarsi andò a sbattere su sua figlia, dicendo: “Perché vado cercando Maria a Ravenna? Se Preziosa, mia figlia, è fatta con lo stesso stampo della mamma? Ho questa bella faccia in casa e la vado cercando in culo al mondo?”.
Si prese una sfuriata
E, fatto capire questo ragionamento alla figlia, si prese una sfuriata e una strillata che il cielo te la racconti al posto mio. Il re, tutto infuriato, le disse: “Abbassa la voce e infilati la lingua là dietro, stringiamo stasera questo nodo matrimoniale, altrimenti il pezzo più grande di te sarà l’orecchio!”.
Si ritirò nella sua camera
Preziosa, sentita questa decisione, si ritirò nella sua camera e piangendo questa malasorte si strappava a ciuffi i capelli; e, mentre stava in questo triste lamento, se ne arrivò una vecchia che di solito le portava i belletti e che, trovandola più nell’altro mondo che su questo e sentita la ragione del suo dolore, le disse: “Stai di buonumore, figlia mia, non disperarti, perché per ogni male c’è un rimedio, fuorché per la Morte. Ora ascoltami: quando tuo padre, che è un asino, vorrà fare da stallone, tu infilati questo bastoncino in bocca, immediatamente diventerai un’orsa e fuggirai via, perché lui, per la paura, ti lascerà andare e vattene difilato nel bosco, dove il cielo ti ha conservato la tua fortuna. E quando vuoi sembrare femmina, come sei e sarai sempre, levati il bastoncino da bocca e tornerai come prima”.
Abbracciò la vecchia
Preziosa abbracciò la vecchia e le fece dare una bella grembialata di farina e di fette di prosciutto e di lardo e la mandò via – quando il Sole, come una puttana fallita, cominciò a cambiare quartiere – il re fece venire i musicanti e, invitati tutti i signori vassalli, fece una grande festa; e quando ebbero fatto cinque o sei ore di ballo si misero a tavola e, dopo aver mangiato oltre misura, lui se ne andò a dormire. E, chiamando la sposa per farsi portare il quaderno su cui saldare i conti dell’amore, lei, messo il bastoncino in bocca, si trasformò in un orso terribile e gli andò incontro. Lui, terrorizzato da questo prodigio, si arrotolò dentro i materassi da dove non tirò fuori la testa neanche la mattina.
Si avviò verso un bosco
Frattanto Preziosa se ne uscì e si avviò verso un bosco – dove le ombre avevano stabilito un monopolio, come se potessero, allo scoccare delle ventiquattro, dare qualche fastidio al Sole – dove restò in dolce conversazione con gli altri animali, finché venne a caccia da quelle parti il figlio del re di Acquacorrente, che, vedendo quest’orsa, stava per morire dalla paura. Ma, accortosi che questa bestia, accucciandosi e dimenando la coda come un cagnolino, gli girava intorno, si fece coraggio e accarezzandola, dicendole “cuccia cuccia, miao miao, cip cip, tu tu, grunf grunf, quanck quack”, se la portò a casa, ordinando che se ne prendessero cura come si trattasse di lui stesso e la fece mettere in un giardino accanto al palazzo reale, per poterla sempre vedere, quando volesse, da una finestra.
Fiaba di Giambattista Basile