E Prezzemolina passò. Appena fu in salvo si domandò: ‘ Cosa ci sarà in questa scatola del Bel-Giullare? ‘ e non seppe resistere alla tentazione di aprirla. Ne saltò fuori tutto un corteo d’omini piccini piccini, un corteo con la banda, che andava avanti a suon di musica e non si fermava più. Prezzemolina voleva farli tornare nella scatola, ma ne prendeva uno e gliene scappavano dieci. Scoppiò in singhiozzi, e proprio in quel momento arrivò Memè. “Curiosaccia!” disse, “Vedi quel che hai combinato?” “Oh, volevo solo vedere..” “Adesso non c’è rimedio. Ma se tu mi dai un bacio, io rimedierò.” E lei: “Preferisco dalle fate essere mangiata. Piuttosto che da un uomo essere baciata.”
“L’hai detto così per benino che rimedierò io lo stesso.” Batté la bacchetta magica e tutti gli omini tornarono nella scatola del Bel-Giullare. Le fate, quando sentirono Prezzemolina picchiare all’uscio, ci rimasero male. “Come mai la fata Morgana non se l’è mangiata?” “Felice giorno” disse lei, “Ecco la scatola.” “Ah, brava… E cosa t’ha detto la fata Morgana?” “M’ha detto di farvi tanti saluti.” “Abbiamo capito!” dissero le fate tra loro. “Dobbiamo mangiarcela noi.” Alla sera, venne a trovarle Memè. “Sai Memè?” gli dissero “La fata Morgana non s’èmangiata Prezzemolina.
E quando bollirà
Dobbiamo mangiarcela noi.” “Oh, bene!” fece Memè, “Oh, bene!” “Domani, quando avrà fatto tutte le faccende di casa. Le faremo mettere al fuoco la caldaia di quelle grandi da bucato. E quando bollirà le prenderemo e la butteremo dentro.” “E sì, e sì,” disse lui, – resta inteso cossì, è una buona idea.” Quando le fate furono uscite, Memè andò da Prezzemolina. “Sai Prezzemolina? Ti vogliono buttare nella caldaia, quando bolle. Ma tu devi dire che manca la legna e che vai in cantina a prenderla. Poi verrò io.” Così le fate dissero a Prezzemolina che bisognava fare il bucato, e che mettesse la caldaia al fuoco.
Accese il fuoco
Lei accese il fuoco, poi disse: “Ma non c’è quasi più legna.” “Và a prenderla in cantina.” Prezzemolina scese, e sentì: “Sono qua io, Prezzemolina!” C’era Memè che la prese per mano. La condusse in un posto in fondo alla cantina dove c’erano tanti lumi. “Queste sono le anime delle fate. Soffia!” Si misero a soffiare e ogni lume che si spegneva era una fata che moriva. Rimase solo un lume, il più grosso di tutti. “Questa è l’anima della fata Morgana!” Si misero a soffiare insieme con tutte le loro forze, finché non lo spensero, e così rimasero padroni di ogni cosa. “Ora sarai mia sposa,” disse Memè e finalmente Prezzemolina gli diede un bacio. Andarono al palazzo della fata Morgana; del ciabattino ne fecero un duca, della fornaia una marchesa; i cani li tennero con loro a palazzo e la porta la lasciarono lì badando a ungerla ogni tanto.
Così vissero e godettero, sempre in pace se ne stettero ed a me nulla mi dettero.FINE
Fiaba originaria di Firenze da “Fiabe Italiane” di I.Calvino