Afferrarono Prezzemolina e via. La mamma, non vedendola tornare, era sempre più in pensiero. A un tratto si ricordò della frase che le aveva detto, e disse: “O me disgraziata! Ora non si può più tornare indietro!” Le fate portarono Prezzemolina a casa loro, le mostrarono una stanza nera nera dove tenevano il carbone e dissero: “Vedi, Prezzemolina, questa stanza? Quando torniamo stasera dev’essere bianca come il latte e dipinta con tutti gli uccelli dell’aria. Se no ti mangiamo.” Se ne andarono e lasciarono Prezzemolina disperata, tutta in lacrime. Bussarono alla porta. Prezzemolina va ad aprire, sicura che siano già le fate di ritorno e che sia giunta la sua ora. Invece entrò Memè, il cugino delle fate. “Che hai che piangi, Prezzemolina?” chiese. “Piangereste anche voi” disse Prezzemolina, “se aveste questa stanza nera nera da far bianca come il latte e dipingerla con tutti gli uccelli dell’aria, prima che tornino le fate! E se no mi mangiano!” “Se mi dai un bacio,” disse Memè “faccio tutto io.”
E’ così graziosa
E Prezzemolina rispose:
Preferisco dalle fate essere mangiata
Piuttosto che da un uomo essere baciata.
“La risposta è così graziosa,” disse Memè “che farè tutto io lo stesso.” Battè la bacchetta magica e la stanza divenne tutta bianca e tutta uccelli, come avevano detto le fate. Memè andò via e le fate tornarono. “Allora Prezzemolina, l’hai fatto?” “Sissignora, vengano a vedere.” Le fate si guardarono tra loro. Dì la verità Prezzemolina, qui c’è stato il nostro cugino Memè”. E Prezzemolina:
“Non ho visto il cugino Memè
Né la mia mamma bella che mi fé.”
Fiaba originaria di Firenze da “Fiabe Italiane” di I.Calvino