A quel punto, altri lupi si fecero avanti per salutarla e per accettare le sue carezze amorevoli. Il lupo nero, il lupo alfa, si alzò e mise le zampe posteriori sulle spalle di Megarin. Le sfiorò il naso, invitandola a giocare. Felice di essere stata accettata nel branco, lei ruzzolò e lottò con i suoi nuovi compagni nella foresta. “Ho fame” dissealla fine ed essi cacciarono. Divisero la preda con lei come se fosse una del branco, Megarin gustò la carne ancora calda e sanguinante. Pigramente, pensò, quanto sarebbe piaciuto il fegato a Madre Lupa.
Il gigantesco lupo nero, gettando di lato alcuni dei maschi più giovani, addentò il fegato. Tenendolo in bocca, con l’occhio destro guardò il marchio sulla fronte di Megarin. Con la stessa chiarezza come se avesse parlato, lei capì cosa intendeva. “Lo porterò a Madre Lupa e le dirò che sei dei nostri.” Il lupo balzò via e Megarin sedette immobile. Ora sapeva come si teneva informata Madre Lupa e come l’anziana donna cieca potesse vedere quando non era in grado di farlo. Con circospezione, si passò la punta delle dita sul marchio della testa di lupa. Si riposò per un po’, lasciando che i lupi dormissero, digerendo il pasto. Quando si avvicinò alla strada che dalla foresta conduceva alla città, sentì un formicolio sulla nuca. Leggendo il vento, distinse il sentore ace degli esseri umani che erano da poco passati di lì. Rimase tra gli alberi, muovendosi parallelamente alla strada, finché, a metà del pomeriggio vide la porta settentrionale di Oakden. I cancelli divelti pendevano dai cardini. Oltre l’apertura vide edifici che avevano bisogno di riparazioni e di una mano di tinta. Curiosa di scoprire come la città, un tempo fiorente e piena di vita, si fosse deteriorata sotto il regno di Garm, avanzò sulla strada. Ebbe un brivido e sentì i peli rizzarsi sulla nuca: “Sono una lupa, ma sono anche umana!” Si avviò con passo sicuro verso Oakden.
Ricordava fin troppo bene l’ultima volta che ci era stata con Madre Lupa, quattro anni prima. Ricordava fin troppo bene i fischi, le manciate di fango e di altri rifiuti che erano state lanciate contro di loro. Anche se lei e le altre tre aspiranti avevano combattuto con valore, era stata la voce stentorea di Madre Lupa che aveva terrorizzato i loro tormentatori. Dopo di allora, nessuno di quelli di Wolfhaven era più tornato in quella città che una volta, molto tempo prima, li accoglieva come amici.
Fonte: Marion Zimmer Bradley, “Sword and Sorceress”