Un lupo avanzò tra gli alberi. Alto un metro e venti alle spalle, era nero come la notte ed il suo manto aveva riflessi argentei. Megarin deglutì, questo era un lupo selvaggio della foresta, non uno di quei cuccioli semidomati che molto spesso capitavano a Wolfhaven. D’improvviso sorrise: “ompagno lupo, spero che onorerai il fatto che anche io faccio parte di un branco.” La grande bestia ringhiò mpostrando le zanne forti, ancora giovani e bianche. Anche se sembrava che stesse guardandola negli occhi, Megarin pensò che il suo occhio destro fosse rivolto più alla sua fronte. E poi pensò alla testa di lupa che vi era marchiata. Di scatto si raddrizzò e guardò con fermezza l’animale della foresta. “Lasciami passare, fratello lupo. Mi è stata comandata una Ricerca.” Nel fondo della mente elevò una disperata preghiera al Grande Lupo.
Gli occhi del lupo nero si spostarono ed il suo sguardo fiero si mitigò. Megarin fece un passo avanti. “Non hai nulla da temere da ma, fratello mio, né io da te.” Tenendo lo sguardo fisso su di lui, fece un altro passo. Il marchio sulla fronte era caldo. Ora sentiva con chiareza l’odore della bestia.
Sentì distintamente la miriade di odori della peliccia che d’impovviso le assalirono le narici, il suo naso umano non era fatto per decifrarli tutti, ma ora li distingueva con chiarezza. Le sue orecchie percepivano suoni che non avrebbe potuto sentire con l’udito umano, il suono di molte zampe che si posavano leggere sul terreno tutt’intorno a lei. Poi la sua vista si sdoppiò. Era come se ci vedesse doppio, con la seconda immagine leggermente sovrapposta alla prima, anche se non aveva la stessa ricchezza di colori.
Il lupo indietreggiò e dal naso gli sfuggì un piccolo guaito. Concentrandosi sulla seconda immagine, Megarin si mosse verso di lui. Il lupo si sedette sulle zampe posteriori e poi si sdraiò sulla schiena. La prima immagine si sfocò, mentre la seconda, color grigio, si fece più definita. Ringhiando piano, lei si inginocchiò piegandosi verso il ventre vulnerabile della bestia e posò dolcemente una mano sulla pelliccia morbida, accarezzandogli il petto. “Non ti farò del male, fratello mio” lui rotolò, tenedo ancora gli orecchi tesi all’indietro e la bocca aperta con la lingua penzoloni. Megarin si piegò e gli prese il muso tra i denti. Lo morse con determinazione dimostrandogli il suo affetto, poi lo accarezzò dietro gli orecchi. Lui uggiolò di piacere, battendo la coda per terra.
Fonte: Marion Zimmer Bradley, “Sword and Sorceress”