“Gran pietà!”, mormorò ser Audie, e in fretta uscì dalla stanza, per rientrarvi poco dopo recando tra le braccia un bianco fagotto.
“Ah, sire, non volete guardarlo per l’ultima volta?” chiese. Senza volgersi re Pendragon rispose: “NO.”
“obbedisco mio re”, disse Audie e, uscendo da una piccola porta, discese per cupe scale che sprofondavano giù nella montagna sulla quale il castello era costruito, giungendo alla postierla settentrionale. Traendo il pesantissimo catenaccio, egli aprì la porta.
Gli apparve subito il lago, la cui acqua era tutta agitata dal vento, flagellata dalla pioggia e illuminata dalle folgori. A quelle luci, se Audie vide la nera figura di un uomo molto alto dalle braccia conserte sul petto. L’uomo disse con voce profonda: “Alla buon’ora!”
“Messere, questa non è una buon’ora per il mio re.”
“Non datevi pensiero di questo, ser Audie.”
Meravigliato il cavaliere esclamò: “Come sapete il mio nome?”
“Ah, so ben altre cose, io!” rispose lo sconosciuto. “Datemi dunque quello che siete venuto a portarmi.”
Ser Audie consegnò il bianco fagotto e disse: “Vedo bene che siete un mago. Raccomando tuttavia questo prezioso carico alla vostra anima cristiana.”
L’uomo alto, il cui viso era coperto da un cappuccio nero, prese il fagoto e replicò: “Non datevi pensiero di questo”, e si allontanò in fretta, scomparendo tra il lampeggiare, il rintronare dei tuoni, lo scrosciare della pioggia.
Fonte: Mino Milani “I Cavalieri della Tavola Rotonda”