Dall’Aquila al Giappone i bambini non dimenticano il terremoto che hanno vissuto. A distanza di ben 24 mesi dal sisma che ha distrutto il capoluogo abruzzese e i paesi limitrofi, un piccolo su quindici rivive ancora lo stesso attimo drammatico, prova paura intensa, senso di impotenza e orrore: sintomi di una sindrome postraumatica da stress. Il dato emerge dalla prima ricerca sul campo mai realizzata al mondo per analizzare, con obiettività scientifica, quali cicatrici portino dentro di sé i bambini esposti a catastrofi naturali. Ecco i risultati in un’indagine promossa dall’Ordine dei ministri degli infermi Camilliani con il coordinamento scientifico dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù, il sostegno della Caritas italiana e la collaborazione dei pediatri abruzzesi.
Le visite e i test sui bimbi abruzzesi
Conclusa la fase di screening, la ricerca è ora entrata nella fase della conferma, tramite visita specialistica neuropsichiatrica, delle diagnosi emerse dai test. Sono circa 2.000 i bambini abruzzesi a cui sono stati proposti i questionari dai pediatri del luogo e che hanno aderito volontariamente alla ricerca: 500 di età compresa tra i 3 e i 5 anni e oltre 1.500 i tra i 6 e i 14 anni.
La risposta al trauma
E’ proprio nella fascia d’età 6-14 anni che si differenzia la risposta al trauma a seconda della maggiore o minore prossimità del bambino all’epicentro del sisma e che si fa consistente il dato legato alla sindrome postraumatica da stress: a esserne colpito è ben il 7,1% dei ragazzi, ovvero più di 100 su 1.500. Ancora più alto il dato relativo all’ansia legata all’evento traumatico, riscontrata nell’11% dei giovani sottoposti allo screening: 165 su 1.500. Seguono i disturbi dell’affettività (7,7%), vale a dire quella serie di problemi legati all’attività emotiva: fragilità d’umore, ipervigilanza, esagerate o alterate risposte al contesto ambientale.
Nella fascia 3-5 anni non sono invece stati rilevati problemi neuropsichiatrici gravi se non – nel 6% dei casi – un disturbo d’ansia di probabile origine non post traumatica: la stessa percentuale è infatti riscontrabile nella popolazione pediatrica generale, ovvero anche tra quei bambini che non sono stati vittime di un violento terremoto. Inoltre è stata rilevata una certa omogeneità di condizione tra i piccoli aquilani e i bambini delle altre provincie d’Abruzzo.
L’età del bimbo e la risposta al trauma
Lo studio rivela quindi che più il bambino è piccolo, minori sono gli esiti del trauma: in questo caso concorrono più fattori ambientali di ‘protezione’ come la famiglia e l’età, intesa come livello di sviluppo e maturazione del sistema nervoso. Conoscere è il primo requisito per poter intervenire. Il progetto – e questo è un ulteriore elemento innovativo – non si ferma infatti allo screening dei fattori di rischio e degli effetti prodotti da una tragedia naturale sulla psiche di bambini e adolescenti o alla conferma della diagnosi, ma, conseguentemente, attiva processi formativi e terapeutici ad hoc.
I percorsi di formazione
In tal senso, la ricerca ha attivato percorsi di formazione per pediatri e insegnanti per riconoscere e gestire (ad esempio attraverso interventi di educazione alla pro-socialità) la sindrome postraumatica da stress. Grazie agli ottimi risultati raggiunti si è deciso di replicare l’esperienza nella popolazione del Cile, colpita nel febbraio dello scorso anno da una terribile scossa sismica. In virtù delle solide evidenze scientifiche su cui si fonda, lo studio costituisce infatti un modello applicabile a tutte quelle zone colpite da catastrofi naturali, in primis Haiti e Giappone.