L’anziana l’accarezzò distrattamente e con un lieve cenno invitò Irani a parlare. Questa fece un rapido, preciso e vivace racconto della richiesta della piccola Kulìa e della decisione della Madre di procurarsi un sogno che facesse loro sapere di più della tragedia che in un tempo diverso – lontano o vicino non era dato sapere – aveva colpito l’umanità. Spiegò che la Madre aveva dubitato a lungo e che ala fine sapere le era parso preferibile al non sapere, l’essere pronti meglio che essere impreparati, il soffrire adesso meno doloroso che attendere un dolore futuro, e iin sostanza aveva scelto di conoscere cosa poteva aver permesso tanto odio e tanta sofferenza e se li si poteva evitare.
Le donne presenti assunsero un’espressione concentrata e dubbiosa, la Madre le invitò a parlare se lo volevano e a scegliere liberamente se accompagnarla e sostenerla nell’opera incerta e rischiosa che si apprestava a tentare. Non si trattava di un rito o di una cerimonia come quelle tante altre volte vissute insieme. Non c’era una procedura collaudata, non c’era un iter conosciuto né una tecnica per rientrare morbidamente nella realtà ordinaria. La Madre fu chiara, aveva bisogno di aiuto ma non voleva forzare nessuna. Il silenzio si fece se possibile più profondo. Nessuna avrebbe dovuto dare spiegazioni, ognuna di loro poteva alzarsi e andarsene senza sentirsi in difetto. Nessuna si mosse, nessuna si alzò. Quelle donne avevano affrontato insieme tanti momenti difficili, condiviso conoscenze impegnative, scelto soluzioni sagge e coraggiose. E ne andavano fiere. Rimasero.
Fonte: Sara Morace, I Racconti di Domani
Il Viaggio della Conoscenza -2-
di 22 Aprile 2011Commenta