Sua madre Irani, quando la vide, notò che aveva il volto acceso e sorrise, perché per molti giorni aveva sorvegliato il suo pallore e intuito il suo tormento. Quella ragazzina aveva trovato il modo di affrontarlo, e sottrarsi non sarebbe stato semplice. Ma non diede a vedere di aver colto il cambiamento. Mantenne il suo fare affettuoso e distaccato, ricordandosi di quando era stata a sua volta una ragazza e di come non poteva sopportare che non le si spiegasse tutto, subito e per bene. Su Kulìa però, e su tutto il popolo, gravava una minaccia nuova e oscura e quelle di sua figlia non sarebbero state le normali domande di una giovane della sua età. Forse però Kulìa avrebbe svolto una funzione indispensabile a tutti, forse ne aveva la capacità, e lei non doveva intervenire per protegerla. Forse non doveva intervenire affatto.
Il pranzo fu silenzioso e tranquillo, i maschi erano a pesca e avevano portato con sé focacce, olive e frutta: sarebbero tornati al tramonto. Irani pensava a come stare vicino a Kulìa senza essere invadente, Kulìa pensava a come affrontare la nonna senza che Irani se ne dispiacesse, i più piccoli mangiavano e contemporaneamente giocavano col cane lanciandogli dei bocconi, e stavolta nessuno li riprese.
Era comparsa improvvisamente
Il pomeriggio era caldo e nessuno si era fermato nei campi; nonostante l’afa la ragazza si accucciò vicino a sua madre. Aveva bisogno di conforto e lo ricevette, senza che una sola parola fosse pronunciata.
Quando l’aria si fece più fresca la giovane si avviò verso la capanna della nonna da cui usciva un sottile filo di fumo. La gatta bianca e nera, quella della spiaggia, le venne incontro, strofinò il muso sulle sue gambe e le dette un poco di coraggio in più. Quella splendida gatta, dal manto lucido, era comparsa improvvisamente come dal nulla, come da un altro mondo. Prima di quella mattina non l’aveva mai vista.
Fonte: Sara Morace, “I Racconti di Domani”