L’edificio era effettivamente una grande casa, formata di più ali e molti ambienti, alcuni dei quali erano laboratori di ceramica e tessitura. In altri si macinava il grano e si cuoceva il pane, in altri ancora si pressavano le olive. C’erano magazzini per conservare le riserve alimentari comuni alle genti dei villaggi, costituite principalmente da cereali e olio: ciascun villaggio contribuiva e attingeva alle riserve equamente. Gli artigiani davano orgogliosamente il meglio di sé e al tempo stesso facevano scuola tra quelle pareti. C’erano infine grandi sale dove le genti si riunivano per dormire (quando non lo facevano all’aperto) e mangiare insieme.
Tante persone assieme potevano realizzare opere (per esempio grandi giare e grandissimi cesti) che ad un singolo villaggio sarebbero costate una fatica immotivata ed eccessiva e viceversa affrontate così risultavano persino gioiose. La messa in comune di risorse alimentari e la sua ridistribuzione, sotto lo sguardo attento di anziane e anziani, faceva sì che nessuno avesse a disposizione troppo di quel bene e troppo poco di quell’altro. Le conseguenze di un raccolto andato male o di una pesca poco fortunata venivano alleviate più facilmente e producevano minore sofferenza. Ciascuna e ciascuno sapeva quale attività avrebbe svolto e appena arrivava si metteva all’opera scambiando saluti indaffarati e veloci; a sera ci sarebbe stato il tempo di chiaccherare con calma.
Fonte: Sara Morace, I Racconti di Domani
La festa d’estate -6-
di 25 Maggio 2011Commenta