“Quel cane dovrebbe avere un nome.”
“Ce l’ha un nome.”
Le conversazioni tra Kulìa e Hussa spesso si svolgevano così, senza preamboli di sorta.
“Ah, davvero, e qual’é?”
“Capo, si chiama Capo. Non è così, piccolo?”
Hussa grattava la pancia al cagnolino nero, che piccolo lo era davvero.
Piccolo, vivace e furbo come nessun altro. Hussa invece era alto per la sua età, esile come Kulìa, sempre indaffarato in sue misteriose faccende, un fascio di nervi. Andava e veniva, da solo o coi suoi amici, osservando tutto e godendo di ogni più piccola manifestazione della natura. Di quel cagnolino era diventato più che amico, erano parte l’uno dell’altro, e la sollecitudine del ragazzino era commovente quanto l’affettuosità della bestiola.
Quando Hussa era arrivato col suo nuovo amico c’era stato un breve momento in cui Irani aveva tentato di sostenere che il cagnolino doveva stare fuori casa, ma aveva desistito quando era stato evidente che Hussa lo avrebbe seguito. Così era rimasto, a patto che fosse sempre pulito, e Hussa se ne occupava così meticolosamente che il pelo tra il nero e il rossiccio splendeva alla luce del focolare. Dunque Hussa e Capo. Come un tutt’uno.
Fonte: Sara Morace, I Racconti di Domani
Notizie Portate dal Mare -1-
di 6 Maggio 2011Commenta