C’era una volta un mago che era molto abile nel fare gli incantesimi. Da molti anni ormai abitava in una capanna in mezzo al bosco ed era molto infelice perché, sentendosi ormai vecchio e vicino a morire, non sapeva a chi trasmettere l’arte della sua magia.
Un giorno vide, per caso, due bambini che giocavano in un prato: erano un fratellino e una sorellina, piccoli, vispi e belli. “Ecco i bambini che fanno al caso mio! Li prenderò e insegnerò loro l’arte della stregoneria”, pensò subito il mago. E, fabbricata una rete di capelli, li catturò e li portò nella sua capanna.
I piccoli, spaventatissimi, avrebbero voluto fuggire, ma il mago li sorvegliava molto attentamente e non si allontanava quasi mai da casa; soltanto qualche volta si divertiva ad andare a pescare. Un giorno che il mago era andato al fiume a pescare, la sorellina buttò le braccia al collo del fratello e piangendo disse:
– Il mago se ne andato a pescare; fuggiamo prima che torni!
Ma il fratellino, che era più saggio, le rispose:
– Non hai sentito che terribili minacce ci ha fatto l’altro giorno prima di uscire? Eppoi quel mago è così sapiente che, con le sue magie, ci ritroverebbe subito! No, no! Aspettiamo un po’: per ora non possiamo proprio far nulla!
Passò qualche giorno e il mago di nuovo a pescare e i bambini rimasero soli nella capanna. A un tratto il fratellino guardò in alto e vide sullo scaffale un grosso librone nero.
– E’ certo il Librone degli incantesimi – disse il fratellino.
E, appena lo ebbe preso in mano, continuò:
– Guarda qui! Ci sono scritti tutti gli incantesimi che servono al mago per le sue stregonerie…ho deciso – disse dopo un po’ alla sorellina che lo guardava meravigliata – ogni volta che il mago andrà a pescare, io mi metterò in un angolo e cercherò di imparare qualche formula magica. Così, quando ne avrò imparate molte, forse troveremo il modo di scappare.
Il bambino per una settimana intera, studiò il Librone degli incantesimi e, poiché aveva buona memoria, imparò molti segreti della magia. Al mattino del settimo giorno, quando, come al solito, il mago se ne andò a pescare, il fratellino disse:
– E’ arrivato il momento giusto! Grazie al cielo ho imparato alcuni incantesimi che potranno esserci utili in caso di pericolo.
E presisi per mano, uscirono dalla capanna e scapparono lungo il sentiero del bosco. Il mago intanto, seduto sulla sponda del fiume, si affaticava per nulla: i pesciolini si avvicinavano all’esca, la mangiavano con delicatezza, ma quando il mago dava uno strappo alla lenza, scappavano da tutte le parti e nessuno rimaneva attaccato all’amo! Arrivò la sera e il mago tornò a casa tutto infreddolito e di cattivo umore. Appena entrato nella capanna, si guardò attorno, ma non vide i bambini. Scrutò in tutti gli angoli, cercò sotto la tavola e sotto il letto, ma erano proprio spariti!
– Me la pagheranno cara! – urlò più che mai infuriato. – Olà venga a me la mazza magica!
Subito la mazza magica gli saltò fra le mani e gli indicò la direzione che i bambini avevano preso. Il mago si mise a correre; oramai stava per raggiungerli i piccoli, quando il fratellino disperato provò a ripetere una formula magica:
– Libro, Librone, per il sangue del drago, per la barba del mago, trasformami all’istante in un bel lago.
Immediatamente il fratellino fu trasformato in un lago azzurro, e la sorellina in un pesciolino che guizzava allegramente nell’acqua. Giunto sulla riva del lago, il mago lo guardò con sospetto. Non era mago per nulla, e subito immaginò che cosa era successo.
– Voi volete sfuggirmi – brontolò – ma vi acchiappo lo stesso.
E in tutta fretta ritornò a casa per provvedersi di canne e reti e pescare così il pesciolino. Non appena si fu allontanato, i bambini ripresero le loro sembianze. Cercarono un cespuglio folto, vi si nascosero sotto e dormirono fino all’alba. Al mattino ripresero il viaggio camminando per tutta la giornata. Intanto il mago, munito di reti e di lenze, era giunto nel posto dove aveva veduto il lago, ma, con sua grande sorpresa, non lo trovò più. C’era soltanto un prato acquitrinoso dove saltellavano numerosi ranocchi. Tutto infuriato gettò via reti e canne, poi, interrogata la mazza magica e avuta da lei la direzione, riprese l’inseguimento. Verso sera i ragazzi udirono il rimbombo dei suoi passi.
– Siamo perduti! – singhiozzo la sorellina terrorizzata voltandosi indietro.
Ma il fratellino la rincuorò di nuovo:
– Non piangere. Conosco un’altra formula magica e spero che funzioni anche questa volta.
Tracciò un segno nell’aria e disse:
– Libro, Librone, a scorno dello stregone che viene in tutta fretta, mutami in una linda cappelletta.
Subito diventò una cappelletta bianca, di quelle che si vedono spesso lungo le strade di campagna, e la bambina divenne un bellissimo angelo dipinto nella nicchia. Quando il mago arrivò, incominciò a imprecare schiumando di rabbia. Ma come catturare un angelo dipinto? E come distruggere la cappelletta, visto che da sempre gli stregoni hanno paura delle immagini sacre? Inoltre l’angelo teneva una mano alzata in un atteggiamento dolcissimo, ma che a lui sembrava soltanto minaccioso. Egli fece tre o quattro volte il giro della cappelletta e concluse che non gli restava altro da fare che incendiarla.
– Non posso ridurvi in un mucchio di calcinacci – imprecò – ma vi ridurrò in un mucchio di cenere!
Detto fatto incominciò a raccogliere nei dintorni rami ed erba secca e con quelli circondò la cappelletta; ma quando fu per appiccarvi il fuoco si accorse che non aveva fiammiferi. Non gli restava che tornare a casa a prenderli, e subiti si incamminò sbuffando e borbottando.
Non appena fu lontano, il fratellino e la sorellina ripresero il loro solito aspetto e, poiché erano molto stanchi, cercarono un angolo ben riparato e dormirono saporitamente fino all’alba.
Quando il mago, portando i fiammiferi e una grossa fascina, giunse sul luogo dove c’era la cappelletta, trovò soltanto un grosso macigno. Lo stregone furibondo consultò la mazza magica e riprese l’inseguimento finché, verso sera, fu di nuovo alle spalle dei ragazzi.
Il fratellino, appena udì i passi pesanti del mago, tracciò un segno e disse:
– Libro, Librone, per il nido che sta sulla grondaia, mi piacerebbe diventare un’aia tutta piena di grano. E lo stregone, tienilo lontano!
Subito divenne una grande aia su cui troneggiava un grosso mucchio di grano e la bambina divenne un piccolo chicco mescolato a tutti gli altri. Quando lo stregone arrivò urlò di rabbia. Era stato giocato un’altra volta! Poi a poco a poco si calmò e incominciò a riflettere. “Questa volta, invece di arrabbiarmi tanto, farei bene a cercare un rimedio infallibile”, pensò. Infine i suoi occhi mandarono un lampo di trionfo:
– Ho trovato! – esclamò.
Pronunciò alcune parole magiche, e subito si trasformò in un gallo nero, che veniva avanti di gran corsa protendendo il becco in cerca del chicco di frumento. Grazie ai suoi poteri magici l’aveva già avvistato e stava per beccarselo quando il fratellino pronunciò mentalmente l’ultima formula magica di cui si ricordava:
– Gallo nero, gallo nero, non avere troppa fretta! Lo sai già quel che ti aspetta, con la volta e il levriero!
Subito a una estremità dell’aia apparve un grosso levriero che, mettendo in mostra due file di denti aguzzi, incominciò a correre verso il gallo. Non appena lo vide, il gallo, tutto spaventato, si diede alla fuga nella direzione opposta, ma dall’altra parte ecco apparire una volpe dal pelo rosso che, con gli occhi infiammati e la bocca aperta, si avventò su lui.
Il gallo non sapeva più da che parte scappare; svolazzava di qua e di là perdendo le penne, e non aveva più in mente né il chicco di grano, né, cosa peggiore, le formule magiche che avrebbero potuto salvarlo.
Fu la volpe ad avere la meglio balzata sul gallo ne fece un sol boccone, leccandosi poi le labbra con molto gusto.
I due bambini ripresero il loro aspetto consueto e da capo si incamminarono verso casa, questa volta allegramente, perché non avevano da temere più nulla. I genitori, che li avevano pianti per morti, li accolsero con gioia e grandi feste. Da quel giorno tutti insieme vissero felici e contenti e del cattivo stregone nessuno udì più parlare.
di Ludwig Bechstein