Negano la malattia che le consumano, anche quando sotto i vestiti non resta che un mucchietto di ossa. Ostinate fino alla fine, mentre i capelli cadono e anche camminare diventa sfiancante. E’ così che un terzo delle ragazze anoressiche si presenta in ospedale: scortate dai genitori, quando ormai la malattia le ha battute sul tempo. Succede anche per chi soffre di bulimia. E in totale una paziente su 3 bussa alle porte del centro specializzato in condizioni gravissime, in bilico fra la vita e la morte. Una su 4 ha aspettato che la malattia progredisse almeno 3 anni prima di decidere di farsi curare. Succede a Milano, ma per gli esperti anche nel resto d’Italia le cose non sono così diverse.
Disturbi alimentari scoperti troppo tardi
Sos lanciati troppo tardi: questo l’ostacolo più grande per la cura del ‘mal di cibo’, avverte Maria Gabriella Gentile, direttore del Centro per i disturbi del comportamento alimentare dell’ospedale Niguarda di Milano. I dati sulle cure tardive sono quelli che emergono dalla casistica della struttura milanese, un centro di riferimento nazionale, e si riferiscono a più di 500 pazienti ricoverati.
Le baby anoressiche
Pazienti sempre più giovani: 9 su 10 sono ragazze, età media 15-16 anni. Ma negli ambulatori del Niguarda si possono incontrare anche bambine di 9 anni, magrissime ed emaciate. “Un fenomeno pericoloso quello della baby-anoressia – spiega Gentile – perché ha delle conseguenze negative sulla crescita“. Smettere di mangiare in età da scuola elementare mette in gioco l’altezza futura: “Il rischio di restare basse si aggrava con l’attesa. Più si temporeggia prima di intervenire, più questa prospettiva diventa inevitabile“, sottolinea.
Le conseguenze dell’anoressia sulle bambine
E’ successo tante volte. Un caso emblematico, racconta la specialista, è quello di due gemelle: “Una delle due aveva problemi di peso ed era in cura nel nostro centro. A distanza di anni le abbiamo riviste. La sorella sana era cresciuta 20 centimetri più alta della gemella con un passato da anoressica“.
E’ lo stesso principio, prosegue Gentile, “per cui i bambini della Corea del Nord, che spesso patiscono la fame, sono più bassi di quelli che abitano nella più benestante Corea del Sud. Nonostante appartengano alla stessa etnia“.
La negazione della malattia e il pericolo di morte
Ma non serve andare così lontano. Nella metropoli lombarda, di “ragazze che sembrano uscite da un campo di sterminio nazista se ne vedono molte“, riflette l’esperta. A disorientare i medici è la negazione della malattia. “Accecate dal disagio psicologico, loro dicono di star bene fino all’ultimo, sfuggono alle cure. Dovrebbero essere i genitori a imporsi, a farsi venire il dubbio e a chiedere aiuto al medico di famiglia. Spesso però i camici bianchi e gli psicoterapeuti che entrano in contatto con queste ragazze non hanno la consapevolezza della necessità di intervenire al più presto con le terapie. Anche perché il 5% di queste ragazze può morire“.
Riconoscere la bulimia
La bulimia è ancora più insidiosa. Stanarla è difficile perché i segni sul corpo non sono così evidenti. E l’età media delle pazienti si alza: “Hanno dai 20 ai 22 anni quando entrano in cura“.
Per tutte queste pazienti, ripete Gentile, “la guarigione è tanto più efficace e veloce quanto prima si interviene. Dobbiamo evitare che si ripetano casi limite di ragazze che arrivano in ospedale dopo aver convissuto con il loro disturbo per ben 18 anni“. Il lavoro dei medici per farle uscire dal tunnel è lungo e difficile: “Bisogna agire sul disagio psichico e sul corpo“, spiega la specialista che ha appena pubblicato un libro sull’argomento.
E ‘in terapia’ entrano anche i genitori. Quanto al contesto in cui si sviluppano i disturbi del comportamento alimentare e ai fattori che li scatenano, gli esperti brancolano nel buio: “E’ difficile dirlo. Si ammalano le principesse del Nord-Europa e le figlie di operai, senza differenze di ceto“, assicura l’esperta. E i numeri sono sempre più alti, soprattutto fra le under 25: si stima che oggi 10 adolescenti o giovani donne su 100 convivano con un disturbo alimentare.