C’era una volta, in Giappone, un pescatore che si chiamava Urascimatarò. Egli era grande e forte, ma forse appunto per questo, amava molto le creature piccole e deboli, e specialmente gli animali.
Un giorno, mentre passeggiava sulla riva del mare, vide un gruppo di ragazzi che si agitavano e gridavano. Si avvicinò, e vide che stavano giocando con una tartaruga, ma giocavano in modo crudele e cattivo, e tormentandola e stuzzicandola in tutti i modi. Fingendo di ridarle la libertà, e quando la tartaruga s’incamminava faticosamente verso il mare, subito le erano addosso e la rovesciavamo sul dorso divertendosi a vederla agitare le zampette all’aria e facendole il solletico sul muso. Poi ricominciare da capo. “Vergogna!” gridò Urascimatarò. “Come potete divertirvi a tormentare così quella povera bestia?” “E tu che c’entri?” risposero i ragazzi, facendo sberleffi. “La tartaruga è nostra. L’abbiamo catturata noi e possiamo fare quello che ci pare.” Urascimatarò rimase male, ma vedendo che con quei monelli le parole non servivano, su frugò in tasca e vi trovò alcune monete. “Sentite,” disse allora ai ragazzi “Volete vendermi la tartaruga? Vi dò tutto il denaro che ho: accettate?” I monelli non se lo fecero dire due volte: presero le monete e corsero verso il più vicino negozio di dolciumi. Urascimatarò raccolse la tartaruga e la portò delicatamente fino al mare, poi la mise nell’acqua dicendo: “Và, povera bestiolina, e un’altra volta cerca di non farti catturare più.” La tartaruga fece un piccolo cenno di saluto, poi scomparve nella profondità del mare. Urascimatarò la seguì con lo sguardo fin che poté, poi volse le spalle e tornò a casa.
Era rimasto senza soldi e senza cena; infatti il denaro che aveva dato ai monelli avrebbe dovuto servirgli per comperarsi da mangiare; ma era tanto contento per la buona azione compiuta che non sentiva neanche la fame. Passò del tempo. Un giorno, come al solito, Urascimatarò scese in mare con la sua barca e incominciò a pescare. A un tratto gli parve di udire una vocina sottile che lo chiamava per nome: “Urascimatarò, Urascimatarò!” Si guardò intorno sorpreso, ma non vide nessuno. C’erano soltanto i gabbiani e le onde, e sulla riva alcune piante palustri con dei fiori a grappolo. ‘ Avrò sognato ‘ si disse; e incominciò lentamente a ritirare la rete. Ma ecco che, tra il mormorio delle onde, la vocina si fece udire di nuovo: “Urascimatarò! Urascimatarò!” Questa volta sembrava provenisse dal basso, e il giovane si sporse dalla sua barca e scrutò l’acqua. Vide disegnarsi un’ombra che saliva dal fondo del mare e finalmente giungeva alla superficie. E una grossa tartaruga, che guardò il giovane e chinò la testa in segno di saluto. “Urascimatarò” gli disse “non mi riconosci? Io sono la tartaruga che hai comperato qualche giorno fa per liberarla dai suoi tormentatori, anche a costo di rimanere senza cena, ho riferito la tua buona azione al potente Drago, il re del mare, ed egli ti è riconoscente quanto me. Vorrebbe averti suo ospite per un pò di tempo. Monta sulla mia groppa e io ti condurrò da lui.” Urascimatarò rimase interdetto. Come avrebbe potuto scendere in fondo al mare senza annegare? Ma la tartaruga, notando la sua perplessità, si affrettò a rassicurarlo: “Sei sotto la protezione del re del mare e non devi temere di niente. Sali sulla mia groppa e non avere paura.” Allora Urascimatarò, incuriosito ubbidì; scese dalla barca mettendosi a cavallo sul dorso della tartaruga, e subito s’inabissò. Non annegò, infatti; anzi, l’acqua non gli dava nessun fastidio; gli sollevava soltanto morbidamente i capelli. Intorno c’era una luce che dava un aspetto magico a tutte le cose: alle alghe, ai coralli, alle meduse iridescenti, ai pesci rossi e rosati, che agitavano le pinne e le code così larghe e fluttuanti che sembravano veli di seta. Urascimatarò non si stancava di guardare, e intanto la tartaruga scendeva sempre più fino a quando non si posò sul fondo, proprio davanti al palazzo del re del mare.
Era un palazzo meraviglioso, fabbricato sopra uno scoglio dalle venature di madreperla. Aveva i tetti dalla punta rialzata, ricoperti di maioliche verdi e ornati di conchiglie. Una scalinata di marmo conduceva alla porta d’ingresso. “Entriamo nel palazzo del potente Drago” disse la tartaruga. S’incamminò per prima e Urascimatarò la seguì guardandosi intorno a bocca aperta. Al suo interno c’era una anche una bellissima principessa, si chiamava Otohime.Vide anche due grossi pesci spada, che facevano la guardia, incrociando le spade in segno di onore; poi due lunghe file di pesci rossi gli vennero incontro inchinandosi rispettosamente e lo scortarono fino alla sala del trono. Il potente Drago, re del mare, sedeva su un trono di corallo tempestato di perle, e aveva un aspetto terribile, ma anche molto maestoso. Le zampe dagli artigli poderosi, la lunga coda mobile come fiamma, la grande bocca armata di candide zanne, avrebbero terrorizzato chiunque, ma non Urascimatarò che sapeva di non aver nulla da temere. Egli s’inginocchiò, e il Drago scese dal trono per venirgli incontro. “Urascimatarò” gli disse “io desideravo tanto conoscerti perché ho saputo quando sei stato generoso con la povera tartaruga prigioniera. Il tuo cuore gentile merita un premio, e io l’ ho preparato per te; te lo consegnerò quando tornerai sulla terra. Ma ora ti prego di essere mio ospite e di visitare il mio regno. Vedrai ciò che occhio umano non ha mai potuto vedere.” “Ti ringrazio molto, potente Drago” rispose Urascimatarò inchinandosi “Sarò volentieri tuo ospite per un pò di tempo. Ma non lodarmi, perché non ho fatto che il mio dovere.” “Ti affido alle meduse mie damigelle” continuò il Drago “e alla tartaruga tua amica. Che il nostro amato ospite sia rallegrato e servito nel miglior modo possibile!” Detto questo il Drago si ritirò; Urascimatarò fu fatto sedere su una poltrona di corallo imbottita di alghe. Poi nella sala si svolse uno spettacolo tutto dedicato a lui. Prima i pesci rossi e azzurri, dalle code fluttuanti come veli, eseguirono una graziosa danza saettando su e giù, mentre i pesci martello battevano su gusci di conchiglie ritmando il tempo. Poi alcune coppie di pesci spada tirarono di scherma con molta bravura. Un polpo dalle lunghe braccia eseguì con destrezza divertentissimi giochi di prestigio, infine alcune meduse dai colori iridescenti intrecciarono un minuetto agitando graziosamente i loro tentacoli, mentre un complesso di salmoni, che costituivano l’orchestra, soffiava nelle conchiglie. Urascimatarò guardava rapito. Non aveva mai visto nulla di più gentile e divertente, nemmeno da parte dei migliori giocolieri e delle migliori danzatrici del Giappone. Inoltre la sala era adorna di fregi d’oro e d’argento e un lampadario di diamanti a cascatella spandeva una luce iridescente che traeva riflessi d’argento dalle piccole onde create dai ballerini.
Terminato lo spettacolo, Urascimatarò fu condotto nella sala da pranzo dove era imbandita una lunga tavola. Cibi squisiti gli furono serviti in piatti di conchiglie, e vini prelibati gli furono versati in bicchieri di madreperla. Infine fu condotto a dormire su un letto di soffici alghe, rivestito da lenzuola di bisso. Per molti giorni Urascimatarò visse in fondo al mare e, accompagnato dalla tartaruga, lo visitò in lungo e in largo. Vide praterie coperte di alghe e fiorite di strani animaletti che sembravano anemoni dai mille colori, visitò grotte di marmo scintillante e adorne di ostriche aperte, con perle bianche, nere, rosate, vide navi e barche affondate, riviste di muschio vellutato, galeoni dai fianchi squarciati che lasciavano sfuggire cascate di monete d’oro; vide forzieri cerchiati di ferro che contenevano tesori. “Non raccogliere quegli scrigni” suggerì la tartaruga. “Contengono tesori, ma lo scrigno che ti darà il potente Drago re del mare conterrà un tesoro più prezioso ancora.” “Che cosa conterrà?” chiese Urascimatarò incuriosito. “e quando me lo darà?” “Quando ritornerai sulla terra. Ma adesso resta con noi ancora un pò!” Ma le parole della tartaruga avevano destato nel giovane il ricordo e la nostalgia del suo paese.
Un giorno chiese udienza al potente Drago. “Mio signore” disse inginocchiandosi “io vorrei ritornare sulla terra. Il tuo regno è magnifico. La tua ospitalità deliziosa, ma…” “Vuoi andartene, Urascimatarò?” chiese il drago con voce accorta. “Forse non ti trovi bene qui? Io avrei voluto tenerti con me sempre.” “Qui mi trovo benissimo” si affrettò ad assicurare Urascimatarò calorosamente, “ma sulla terra c’è la mia casa. Non è ornata di gemme come la tua, ma è pur sempre la mia casa. E ci sono anche mio padre e mia madre. E c’è…” Urascimatarò s’interruppe. Non osava dirlo, ma c’era anche una bella fanciulla dai capelli neri pettinati con due crisantemi sulle tempie: abitava in una casetta di fronte alla sua, e ogni tanto lo guardava e gli sorrideva… “Va bene, Urascimatarò” disse il Drago. “non sia mai detto che io contravvenga a un tuo desiderio. Torna dunque sulla terra: la tartaruga ti accompagnerà. E prendi anche, come mio regalo, questo cofanetto: ma ricordati che non dovrai aprirlo per nessuna ragione.” Così dicendo il Drago gli porse un cofanetto intarsiato di madreperla, che aveva una serratura d’oro. “Per motivi che non posso spiegarti, sono costretto a consegnarti anche la chiave” aggiunse il Drago. “Ma non aprire lo scrigno.” Urascimatarò promise; prese congedo dal re del mare e da tutti gli altri ospiti del palazzo, e salutato dai pesci spada di sentinella, risalì sul dorso della tartaruga. Questa incominciò a nuotare verso l’alto, e a poco a poco il giovane sentì le acque diventare più tiepide, e finalmente rivide il sole! “Addio Urascimatarò” disse la tartaruga deponendolo sulla riva. “Non ti dimenticherò mai.” Si tuffò nell’acqua e scomparve, mentre Urascimatarò s’incamminava verso il paese respirando a pieni polmoni la tiepida e profumata aria della terra.
Ma …il paese non sembrava più il suo paese, e la casa non sembrava più la sua casa; la capannuccia era diventata una bella villetta abitata da gente forestiera. Il babbo e la mamma non c’erano più. Soltanto la casetta dove viveva la bella fanciulla bruna dai crisantemi sulle orecchie c’era ancora; e sulla sua veranda stava seduta una vecchina dai capelli bianchi. Urascimatarò le chiese notizie dei genitori. “Li conoscevo” ammise la vecchina. “Abitavano qui di fronte e avevano un figlio pescatore. Ma sono morti moltissimi anni fa.” “Come vi chiamate?” chiese Urascimatarò. “Fior di Loto.” Era proprio il nome della bella fanciulla! Dunque, tanto tempo era trascorso senza che lui se ne accorgesse, mentre viveva in fondo al mare? Che fare, ora? Tutto turbato Urascimatarò si diresse verso la spiaggia e incominciò a passeggiare solo e sconsolato. La cosa era spaventosa, ma forse c’era un rimedio chiuso nella cassettina. È vero che il re Drago gli aveva raccomandato di non aprirla mai, tuttavia era meglio forse il disubbidire. Girò la chiavicina d’oro e il coperchio si sollevò. Dal cofanetto uscì un leggiero fumo bianco che avvolse Urascimatarò e poi si dissipò. Quando dileguò Urascimatarò si accorse di essere diventato improvvisamente vecchio, vecchio come Fior di Loto. Era coperto di rughe, calvo; dal mento gli scendeva una barba bianca; si appoggiava ad un bastone con la mano grinzosa. Re Drago gli aveva fatto il dono dell’eterna giovinezza, e lui se l’era lasciata sfuggire con un alito di fumo. Era stato meglio o peggio? Restò pensieroso a guardare il mare eternamente giovane, su cui i gabbiani volavano con le larghe ali distese…