Questa è la bella storia di Ranocchino porgi il ditino, e sentirete qui appresso perché si dica così. Si racconta dunque che c’era una volta un povero diavolo, il quale aveva sette figliuoli, che se lo rodevano vivo. Il maggiore contava dieci anni, e l’ultimo appena due. Una sera il babbo se li fece venire tutti dinanzi. “Figliuoli” disse “son due giorni che non gustiamo neppure un gocciolo d’acqua, ed io, dalla disperazione, non so più dove dar di capo. Sapete che ho pensato? Domani mi farò prestar l’asino dal nostro vicino, gli porrò le ceste e vi porterò attorno per vendervi. Se avete un pò di fortuna, si vedrà.” I bimbi si misero a strillare; non volevano esser venduti, no! Solo l’ultimo, quello di due anni, non strillava. “E tu, Ranocchino?” gli domandò il babbo, che gli avea messo quel nomignolo perché era piccino quanto un ranocchio. “Io son contento” rispose. E la mattina quel povero diavolo se lo prese in collo, e cominciò a girare per la città.
Nessuno lo voleva
“Chi mi compra Ranocchino! Chi mi compra Ranocchino!” Ma nessuno lo voleva, un cosino a quella maniera! S’affacciò alla finestra la figlia del Re. “Che cosa vendete, quell’uomo?” “Vendo questo bimbo, chi lo vuol comprare.” La Reginotta lo guardò, fece una smorfia e gli sbatacchiò le imposte sul viso. “Bella grazia!” disse quel povero diavolo. E riprese ad urlare: “Chi mi compra Ranocchino! Chi mi compra Ranocchino!” Ma nessuno lo voleva, un cosino a quella maniera! Quel povero diavolo non avea coraggio di tornare a casa, dove gli altri figliuoli lo aspettavano come tant’anime del purgatorio, morti di fame.
S’era addormentato
Ranocchino intanto gli s’era addormentato addosso. Allora lui pensò ch’era meglio ammazzarlo, piuttosto che vederlo patire: gli avrebbe ammazzati tutti, quei figliuoli, ad uno ad uno; e cominciava da questo! Era già sera: e, uscito fuor di città, si ridusse in una grotta, dove non poteva esser veduto da nessuno. Adagiò per terra il bimbo che dormiva tranquillamente, e prima d’ammazzarlo si mise a piangerlo: “Ah, coricino mio! E debbo ammazzarti con queste mani, debbo ammazzarti! Ah, Ranocchino mio! E non ti vedrò più per la casa, non ti vedrò! Ah, coricino mio! E chi fu la strega che te lo cantò in culla, chi fu? Ah,Ranocchino mio! E debbo ammazzarti con queste mani, debbo ammazzarti!”
Che cosa è stato?
Spezzava il cuore perfino ai sassi. “Che cosa è stato, che piangi così?” Il povero diavolo si voltò e vide una vecchia seduta a traverso la bocca della grotta, con un bastoncello in mano. “Che cosa è stato! Ho sette figliuoli piccini e moriamo tutti di fame. Per non vederli più patire, ho deliberato d’ammazzarli; e comincio da questo.” “Come si chiama?” “Si chiama Beppe; ma noi gli diciamo Ranocchino.” “E Ranocchino sia!” La vecchia toccava appena il bimbo col bastoncello, che quegli era già diventato un ranocchio e saltellava qua e là.
Fiaba di Luigi Capuana