Sfregando le mani sulla tunica di pelle, Megarin si voltò e attese che i suoi occhi si adattassero all’oscurità. Confusamente riuscì a distinguere una delle porte del tempio. Fuori, visto dalle finestre, il cielo sembrava più chiaro. Muovendosi verso la luce dell’alba, inciampò in una pietra sporgente. Si sentiva momentaneamente cieca come Madre Lupa era stata sempre. Riuscì finalmente a trovare la porta e uscì nel cortile. L’accolse il primo debole sprazzo di luce che illuminava l’orizzonte ad est. Megarin sorrise alla vista della Coda della Lupa, il segno zodiacale che segnava l’alba. “Buon giorno, Grande Lupa. Se la Madre ordina una Ricerca, allora ricerca deve essere.” Per un attimo guardò con desiderio gli edifici di pietra all’interno delle mura, poi, scrollando le spalle, uscì decisa dal cancello.
Quando entrò nella foresta lussureggiante che circondava Wolfhaven, sentì il respiro mattutino della Lupa, quella corrente d’aria quasi impercettibile, che era soltanto un lieve aumento del freddo della nottte. Recitò una preghiera: “Aiutatemi a completare in fretta il mio compito. La Madre Lupa è vecchia ed io devo tornare presto.”
Silenziosa come qualunque animale vero, Megarin percorse a piedi nudi la fitta foresta. Sospettava che Garm fosse ancora accampato al vecchio castello. Se non era ancora stata venduta da quel delinquente o dal suo gruppo di mercenari, la coppa sacra doveva trovarsi ancora lì, ma il principe doveva essere morto come il resto della famiglia. Il cielo si schiarì e un’improvvisa speranza le riempì il cuore. Madre Lupa era certa che fosse ancora vivo e Vivien aveva diversi modi per conoscere quello che avveniva fuori da Wolfhaven. Forse però il ragazzo avrebbe preferito essere morto, per non dover sopportare la crudeltà a cui lo sottoponeva Garm. Cercò di rammentarselo: un ragazzo vivace e sveglio con i capelli biondi e ribelli. Come si chiamava? Ah, sì, Duer, il principe Duer. Se viveva, sarebbe diventato re Duer della dinastia del Corsac a cui, eoni addietro, il Branco della Lupa aveva giurato fedeltà e prestato la propria destrezza nel combattimento senza armi. Megarin si fermò, tranquilla ma vigile. Non ancora a portata di orecchio, avvertiva comunque la presenza di altri attorno a lei. Appoggiando la schiena ad un grosso tronco d’albero, si sforzò di ascoltare.
Fonte: Marion Zimmer Bradley, “Sword and Sorceress”