Venne il giorno e poi la notte, e poi ancora e ancora, e la luna mancò. Il villaggio viveva come al solito. Quasi. Le occupazioni quotidiane riempivano in qualche modo il vuoto perplesso lasciato dalle rivelazioni della Madre e le persone cercavano di non pensarci.
Intorno al fuoco la sera si parlava di avventure di pesca e si raccontavano vecchie storie, si commentava il tempo e il raccolto. La Madre talvolta si faceva vedere, talvolta no.
Kulìa scrutava negli occhi di sua madre, ma quella la indirizzava affettuosamente verso i suoi compiti facendole intendere che non era il momento di fare troppe domande. La giovane, sottile e nervosa come una gazzella, cercava di trattenere l’impazienza e faceva lunghe passeggiate per calmarsi. Ma una miriade di domande le affollavano la testa e non sapeva come tenerla a bada.
Si sedette di fronte al mare
Un mattino se ne andò sulla spiaggia e si sedette di fronte al mare. Spianò con le mani un tratto di sabbia formando una mezzaluna. Era confortante sentire i granelli caldi scorrerle tra le dita. Le barche si erano allontanate da un pezzo, una gatta bianca e nera comparsa dal nulla venne a strusciarsi contro la schiena di Kulìa e poi le passò lentamente, pigramente, davanti lasciando sulla porzione di sabbia spianata le sue graziose ormette. Nove piccoli avvallamenti, le parvero belli. Al lavoro delle sue mani si era aggiunto il tocco magico della gatta. Eppure mancava ancora qualcosa. Kulìa sentiva una strana calma dopo molti giorni, ma non una calma pigra che avrebbe potuto portarla a dormicchiare stesa all’ombra fino all’ora di pranzo. No, era una calma attiva.
Fonte: Sara Morace, “I Racconti di Domani”