Del resto agli animali bastavano il proprio pelo e le proprie penne per essere magnifici. Faceva caldo. Kulìa si riscosse dall’immobilità che le aveva suggerito la presenza di animali così discreti, e si tuffò in acqua con un gridolino di gioia. Si sfilò la tunica e la lavò accuratamente con un pezzo di radice, poi l’appese ad un ramo e mangiò soddisfatta la frutta che aveva portato con sé. Quando andare dalla nonna a riscuotere la sua risposta? Il sole era basso, ma dalla capanna non venivano suoni. Kulìa era incerta, non aveva nemmeno pronta la prossima domanda. Tutta la faccenda le era parsa improvvisamente troppo complicata. Aveva passato ore deliziose alla polla, meravigliata che nessuno l’avesse disturbata. Era felice e poco propensa a immergersi nei misteri della nonna. Ma non voleva nemmeno rinunciare a dissetare la propria curiosità. Mentre era incerta ed esitante vide la gatta bianca e nera marciare decisa verso la capanna della nonna ed entrare a coda alta. Se era un segnale che aspettava, il segnale era giunto. Ora di andare.
La nonna uscì sulla soglia e la chiamò con un gesto. Era incredibile, ma quella donna sapeva sempre prima degli altri cosa stava per avvenire…
La ragazzina si riavviò i capelli, si stirò la tunica con le mani ed entrò. Il rito della cena della gatta era in corso, la Madre le sussurrava cosine e quella le rispondeva con miagolii appena udibili, le strofinava il muso sulle gambe, alzava la testa per guardarla e finalmente cominciava a mangiare. I gatti non si avventano sul cibo come i cani, pensò Kulìa. I gatti sono ‘eleganti’. Ma mi piacciono anche i cani, le martore e gli aironi. Le piante, i fiori, le montagne, i ruscelli. E avrebbe continuato il suo elenco mentale se la nonna non avesse parlato.
Fonte: Sara Morace, I Racconti di Domani
Una Giornata Normale -6-
di 28 Aprile 2011Commenta