Il tasso di povertà infantile nei Paesi Ocse è salito al 12,7%,pari a circa 30 milioni di bambini poveri. Lo scrive l’organizzazione parigina nel suo primo rapporto sulla condizione delle famiglie, sottolineando come l’aumento della povertà infantile sia avvenuto nonostante l’aumento del redditomedio delle famiglie. Il tasso di povertà infantile in Italia è al 15%, al di sopra della media Ocse del 12,7%, in particolare,sono poveri l’88% dei bambini che vivono con un solo genitore disoccupato, il 79% di quelli che vivono con due genitori entrambi senza lavoro e il 22,5% di quelli che vivono in una famiglia di due genitori di cui solo uno lavora.
Le donne che non lavorano e i figli
In Italia, “le donne trovano difficoltà nel combinare la maternità e lavoro retribuito”, e spesso “devono scegliere tra lavorare e avere figli“. Risultato: “pochi bambini e un basso tasso di occupazione femminile, al 48% contro una media Ocse del 59%“. Lo scrive l’Ocse, nella nota dedicata al nostro Paese del primo rapporto su famiglie e politiche familiari. “Dato che vorrebbero prima acquisire una posizione solida nel mondo del lavoro, le generazioni più giovani postpongono la nascita dei bambini – spiega lo studio – cosa che aumenta la possibilità di non aver figli del tutto“. Di conseguenza, cala il tasso di fertilità e aumenta il numero di donne senza figli, che sono per esempio il 24% tra quelle nate nel 1965, contro il 10% appena della vicina Francia.
Il mondo del lavoro “contro” i bambini
A complicare la situazione, nota ancora l’Ocse, c’é la limitata flessibilità nell’orario di lavoro per i genitori. “Meno del 50% delle aziende con 10 o più dipendenti offrono opzioni a tempo flessibile – afferma il rapporto – e il 60% dei lavoratori non ha controllo sui propri orari di lavoro“. Mantenere una lavoro a tempo pieno diventa così “difficile”, anche per “il limitato accesso a servizi di cura esterni alle scuole“. L’alternativa diventa quindi il lavoro part time, che in Italia è scelto dal 31% delle donne occupate, e dal 7% degli uomini.
Più famiglie atipiche
Più coppie senza figli, meno matrimoni, più famiglie ‘atipiche’, monoparentali o ricomposte. E’ il quadro che emerge dal primo rapporto dell’Ocse sulle famiglie, che esamina i cambiamenti in atto nei 34 Paesi membri. “I mutamenti nelle strutture familiari, i tassi di fertilità in calo e l’invecchiamento della popolazione hanno generato una crescente quota di famiglie senza figli“, spiega l’organizzazione, secondo cui nella stragrande maggioranza dei Paesi oltre la metà dei nuclei familiari non include bambini. Tra le famiglie con figli, inoltre, sono in media il 40% ad avere un bimbo solo, un altro 40% ad averne due e solo il 20% ad averne 3 o più. Tra le forme di unione, il matrimonio resta la più diffusa, anche se il tasso è in costante diminuzione, da 8,1 matrimoni ogni 1.000 persone nel 1970 a 5 nel 2009. Aumentano però i divorzi, il cuo tasso è arrivato a 2,4 ogni 1.000 persone. Di conseguenza, quasi il 15% dei bambini nell’area Ocse vive in una famiglia di un solo genitore, e l’11,3% con due genitori conviventi (coppie non sposate o ‘famiglie ricostituite’, in cui uno o entrambi i genitori hanno alle spalle un divorzio).
La spesa per le famiglie
L’Italia spende l’1,4% del proprio Pil per il sostegno alle famiglie con bambini, meno della media dei Paesi Ocse, che è al 2,2% del Pil. Ma l’Italia rimane nella parte bassa della classifica anche se si rimane nella sola Europa, nella quale la Gran Bretagna spende il 3,5% e la Francia il 3,8%. Lo rivela l’organizzazione parigina, nel suo primo rapporto su situazione delle famiglie e politiche familiari. La spesa, in particolare, è più o meno equamente suddivisa tra benefici finanziari (0,63% del Pil) e benefici in natura (0,75%); non esistono invece, a differenza di altri Paesi Ocse, incentivi fiscali mirati per le famiglie.