La Grande Casa era distante un giorno di marcia da ciascuno dei villaggi che l’avevano fondata. Si partiva all’alba e si arrivava all’alba del giorno dopo, e le poche ore di buio si passavano riposando a fianco di ruscelli che in quel periodo dell’anno scorrevano in mezzo a prati punteggiati degli ultimi fiori primaverili. La partenza per la Casa era l’inizio di attività e creazioni che venivano considerate straordinariamente importanti e per questo svolte in un luogo speciale, un luogo della Dea. Non era l’unico, ce n’erano vari sull’isola, e le presenze della Dea erano dappertutto, specialmente concentrate in alcuni ambiti naturali come le sorgenti e i luoghi d’acqua in generale e le grotte.
Questa spiegazione veniva ripetuta da sempre ai piccoli dalle madri, dalle sorelle, dagli adulti tutti; ciascuno la rinnovava raccontandola ad altri, persino i più piccoli ai piccolissimi. In realtà l’intero viaggio, che si intraprendeva quattro volte all’anno, era un inno, cantato e raccontato, alle manifestazioni di vita naturale, di nascita, crescita e rinascita. Una ininterrotta lezione sulle piante, gli animali, la natura in generale. Venivano detti e imparati i nomi di ciascuna erba e di ciascun animale: i più piccoli facevano avanti e indietro per indicare, chiedere, mostrare. E una volta giunti all’edificio, a seconda del periodo dell’anno, l’inno continuava imbiancandolo o ripulendolo, strappando le erbacce o piantando fiori e prendendosi cura di un’opera umana, abbellendola a imitazione della natura e svolgendovi attività utili e al tempo stesso piacevoli.
Fonte: Sara Morace, I Racconti di Domani
La festa d’estate -5-
di 25 Maggio 2011Commenta