Kulìa annuì e scivolò via insieme ad altre giovani che si allontanavano silenziosamente. La sala in penombra si riscaldava di sonno. La gente ebbe rispetto di quel riposo, muovendosi con cautela dentro e fuori della Grande Casa. Kulìa uscì all’aperto e si girò a guardarla: come era cambiata in soli due giorni! Appariva più fresca, più luminosa, più bella…
Che risultati dava l’opera comune di tante persone! Non era certo la prima volta che vi tornava eppure era stupita più di altre volte della trasformazione che avveniva così rapidamente abitandola e curandola. Kulìa sapeva che la Grande Casa non veniva mai lasciata a sé stessa, e che a turno dai villaggi le persone vi si recavano per controllare il buono stato, fare piccoli lavori di manutenzione e progettarne di più impegnativi da svolgere nelle grandi occasioni comuni, verificare i magazzini e le vie d’accesso, ripulire il torrente. Era un’opera incessante, senza la quale piante e animali l’avrebbero reclamata alla natura, ricoprendola e occupandola. Così era per qualunque casa, anche la più piccola: al ritorno dalla festa si sarebbero dovute levare le ragnatele e nidi di insetti, riaccendere i focolari e abitare nuovamente le case del villaggio. Erano immersi nella natura, lei e la sua gente, e la amavano, ma al tempo stesso se ne distinguevano e quando necessario se ne difendevano. Come durante una grandinata, una mareggiata o la siccità.
Fonte: Sara Morace, I Racconti di Domani
Ciò che è Diverso e ciò che è Migliore -2-
di 31 Maggio 2011Commenta