La Gatta -parte prima-

 C’era una volta, tanto tempo fa, nelle terre di Ripacandida, una povera donna di nome Soriana, che viveva di stenti con i suoi tre figli. Soriana un brutto giorno si ammalò e, quando sentì che era giunta la sua ora, chiamò i figli e lasciò loro le sole cose che aveva: al primo una madia dove impastava il pane, al secondo un tagliere sul quale dava forma al pane, e a Fortunio, che era il più piccino, una gatta.
Dopo la morte della povera donna le vicine di casa, quando ne avevano bisogno, andavano a chiedere in prestito ai fratelli maggiori ora la madia, ora il tagliere, e facevano per loro una focaccia, con la quale si sfamavano. Ma quando Fortunio ne chiedeva un pezzettino, i suoi fratelli gli dicevano: “Va’ dalla tua gatta, che te lo darà lei”, e così lui aveva sempre fame.

Il Serpente -parte quarta-

 Passarono quella giornata parlando della bellezza del principe Sauro, della sciagura provocata dai genitori della sposa, delle magie, dei patimenti e degli incantesimi, poi venne la sera, e poi la notte. Allora la volpe, controllando che gli uccelli si fossero addormentati sui rami, salì quatta quatta e li catturò uno dopo l’altro, li ammazzarono e riempirono col loro sangue un’ampollina che la principessa aveva portato con sé. Al mattino si misero in cammino, e la principessa non stava in sé dalla gioia, ma la volpe disse “Il tuo bel progetto non lo realizzerai, perché ti manca l’ingrediente fondamentale, perché al sangue degli uccelli bisognerebbe aggiungere il mio!”, e scappò.

Il Serpente -parte terza-

 Il re uscì dallo stanzino e vedendo che il serpente si era chiuso con la principessa, disse alla regina: ” Che il Cielo dia pace all’anima innocente di nostra figlia, perché di sicuro quel serpente maledetto a quest’ora l’avrà ingoiata tutta intera”. E avvicinandosi alla porta della camera degli sposi si chinò a guardare dal buco della chiave. Appena vide la bellezza e la nobiltà di quel giovane diede un calcio alla porta, entrò con la regina, raccolsero la pelle di serpente e senza pensarci la bruciarono. “Ah, sciagurati!” gridò il principe serpente,”cosa mi avete fatto!”, si trasformò in una colomba e volò alla finestra, battè e ribatté contro i vetri finché li ruppe e fuggì, ferito e insanguinato.

Il serpente -parte seconda-

 Quando le ombre della notte stavano svanendo il contadino si mise un paniere sotto il braccio e andò tra le case a raccogliere vetri di bicchieri rotti, minuzzoli di tappi e coperchi, cocci di pentole e tegami, bordi di vassoi, manici di brocche, orli di vasi da notte, mettendo insieme lampade sciupate, tazze sbreccate, vasi da fiori incrinati e tutti i pezzi di piatti e scodelle che trovò per le strade. Appena li ebbe gettati dove gli aveva detto il serpente, si vide il parco rivestito di smeraldi e topazi, intonacato di rubini e acquamarine, in uno splendore abbagliante. Tutti quelli che passavano di lì si fermavano affascinati col cuore ricolmo di meraviglia.

Il Serpente -parte prima-

 C’era una volta, tanto tempo fa, nel lontano reame di Castelvetro, una casina su un un poggio, dove col suo marito ortolano viveva una contadina che desiderava tanto avere un bambino. Ne aveva voglia come un carcerato ha voglia di fuggire, come un malato ha voglia di guarire, come un povero ha voglia di soldi, ma nonostante suo marito lavorasse la terra tutti i giorni lei restava sterile e piena di malinconia.
Un giorno il marito era andato nel bosco a fare una gran fascina di legna, quando tornò a casa la sciolse, e scappò fuori tra gli stecchi un piccolo serpente. “Ecco!” disse la donna, “anche le serpi fanno i loro serpolini, io sola sono così sfortunata con questo marito che fa nascere tante piante ma non sa farmi nascere quello che vorrei!”

La Bella Prigioniera -parte seconda-

 Mentre erano insieme a mangiare in un’osteria un’uccello si posò su un albero e cantando disse: “Sappiate, voi che state mangiando, che in un angolo dell’osteria c’è un grande tesoro sepolto, che da tempi lontani è destinato a voi, andate a prenderlo!”, e volò via. Allora il terzo fratello spiegò agli altri due per filo e per segno cos’aveva detto l’uccello, andarono a scavare in quell’angolo ed estrassero il tesoro, poi tutti contenti tornarono a Lucolena dal loro babbo ricchi sfondati. Dopo che il padre li ebbe abbracciati fecero festa e mangiarono e bevvero in abbondanza tutti insieme.

La Bella Prigioniera -parte prima-

 C’era una volta, tanto tempo fa, nell’antico borgo di Lucolena, un pover’uomo che aveva tre figli, e non sapeva come nutrirli e mantenerli. Un bel giorno i figli, assillati dal bisogno, considerando che il loro babbo aveva una grande miseria e poche forze, si consigliarono tra loro e decisero di alleviare il suo peso, e di andare in giro per il mondo per cercare di guadagnarsi da vivere. Così inginocchiandosi davanti a lui gli chiesero il permesso di partire, promettendogli che dopo dieci anni sarebbero tornati a Lucolena.
Si misero in cammino tutti insieme con questo desiderio, poi giunsero a un certo crocevia dove si separarono per ritrovarsi nello stesso posto di lì a dieci anni, e andarono ciascuno in una direzione diversa.

Prezzemolina -parte quarta-

 E Prezzemolina passò. Appena fu in salvo si domandò: ‘ Cosa ci sarà in questa scatola del Bel-Giullare? ‘ e non seppe resistere alla tentazione di aprirla. Ne saltò fuori tutto un corteo d’omini piccini piccini, un corteo con la banda, che andava avanti a suon di musica e non si fermava più. Prezzemolina voleva farli tornare nella scatola, ma ne prendeva uno e gliene scappavano dieci. Scoppiò in singhiozzi, e proprio in quel momento arrivò Memè. “Curiosaccia!” disse, “Vedi quel che hai combinato?” “Oh, volevo solo vedere..” “Adesso non c’è rimedio. Ma se tu mi dai un bacio, io rimedierò.” E lei: “Preferisco dalle fate essere mangiata. Piuttosto che da un uomo essere baciata.”

Prezzemolina -parte terza-

 L’indomani le fate tennero conciliabolo. “Come facciamo a mangiarcela? Mah! Prezzemolina!” “Cosa comandano?” “Domattina devi andare dalla fata Morgana e le devi dire che ti dia la scatola del Bel-Giullare.” “Sissignora,” rispose Prezzemolina, e la mattina si mise in viaggio. Cammina cammina, trovò Memè cugino delle fate che le chiese: “Dove vai?” “Dalla fata Morgana, a prendere la scatola del Bel-Giullare.” “Ma non sai che ti mangia?” “Meglio per me, così sarà finita.” “Tieni,” disse Memè “queste due pentole di lardo; troverai una porta che batte i battenti, ungila e ti lascerà passare. Poi tieni questi due pani; troverai due cani che si mordono l’uno con l’altro; buttagli i pani e ti lasceranno passare.

Prezzemolina -parte seconda-

 Afferrarono Prezzemolina e via. La mamma, non vedendola tornare, era sempre più in pensiero. A un tratto si ricordò della frase che le aveva detto, e disse: “O me disgraziata! Ora non si può più tornare indietro!” Le fate portarono Prezzemolina a casa loro, le mostrarono una stanza nera nera dove tenevano il carbone e dissero: “Vedi, Prezzemolina, questa stanza? Quando torniamo stasera dev’essere bianca come il latte e dipinta con tutti gli uccelli dell’aria. Se no ti mangiamo.” Se ne andarono e lasciarono Prezzemolina disperata, tutta in lacrime. Bussarono alla porta. Prezzemolina va ad aprire, sicura che siano già le fate di ritorno e che sia giunta la sua ora.

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