L’abete -parte seconda-

 Il vento baciò l’albero e la rugiada riversò su di lui le sue lacrime, ma l’albero non riuscì a capire.
Quando si avvicinarono le feste natalizie, vennero abbattuti giovani alberelli, che non erano ancora grandi e vecchi come quell’abete, che non riusciva a avere pace e voleva sempre partire. Questi alberelli, che erano stati scelti tra i più belli, conservarono i loro rami e vennero messi sui carri che i cavalli trascinarono fuori dal bosco.
«Dove vanno?» chiese l’abete «non sono più grandi di me, anzi ce n’era uno che era molto più piccolo. Perché conservano i rami? Dove sono diretti?»

L’abete -parte prima-

 In mezzo al bosco si trovava un grazioso alberello di abete aveva per sé parecchio spazio, prendeva il sole, aveva aria a sufficienza, e tutt’intorno crescevano molti suoi compagni più grandi, sia abeti che pini, ma quel piccolo abete aveva una gran fretta di crescere. Non pensava affatto al caldo sole né all’aria fresca, né si preoccupava dei figli dei contadini che passavano di lì chiacchierando quando andavano a raccogliere fragole o lamponi. Spesso arrivavano con il cestino pieno zeppo di fragole oppure le tenevano intrecciate con fili di paglia, si sedevano vicino all’alberello e esclamavano: «Oh, com’è carino così piccolo!» ma all’albero dispiaceva molto sentirlo.
L’anno dopo il tronco gli si era allungato, e l’anno successivo era diventato ancora più lungo; guardandone la costituzione si può sempre capire quanti anni ha un abete.

Il baule volante -parte quarta-

 “Che bella storia” esclamò la regina “mi sono proprio sentita in cucina con i fiammiferi. Sì, tu avrai nostra figlia.”
“Certo!” aggiunse il re. “Sposerai nostra figlia lunedì.” Ormai gli dava del tu, dato che doveva far parte della famiglia.
Il matrimonio era stato fissato e la sera prima la città venne tutta illuminata: volavano in aria ciambelline e maritozzi; i monelli di strada si alzavano in punta di piedi per prenderle e urlavano Urrà! e fischiavano con le dita; era semplicemente meraviglioso!
“Anch’io devo fare qualcosa!” pensò il figlio del commerciante, e comprò dei razzi illuminanti, dei petardi e tutti i fuochi artificiali che si potessero immaginare, li mise nel baule e volò in alto.
Rutsch! come funzionavano bene! e che scoppi!

Il baule volante -parte terza-

 Tutti i piatti tintinnavano per la gioia, il piumino prese del prezzemolo dal secchio di sabbia e incoronò la pentola, perché sapeva che avrebbe fatto rabbia agli altri, e “se io la incorono oggi” pensava “domani mi incoronerà lei”.
“Adesso vogliamo ballare!” esclamarono le molle del camino e ballarono. Dio mio! come sollevavano le gambe! La vecchia fodera della sedia nell’angolo rideva a crepapelle nel vederle! “Possiamo essere incoronate anche noi?” chiesero le molle e lo furono.
“Non è altro che popolino!” pensavano i fiammiferi.
Adesso doveva cantare la teiera, ma era raffreddata, o almeno così disse, non poteva cantare se non bolliva, ma non era che mania di grandezza: voleva cantare solo quando si trovava a tavola con gli invitati.

Il baule volante -parte seconda-

 Alla fine la storia fu pronta, e era proprio sabato.
Il re e la regina e tutta la corte lo aspettavano bevendo il tè presso la principessa. Come venne ricevuto bene!
«Volete raccontarci una storia?» chiese la regina «ma che sia significativa e istruttiva!»
«Ma che faccia anche ridere!» aggiunse il re.
«Certamente» rispose lui, e cominciò a raccontare. Ascoltiamola anche noi adesso.
«C’era una volta un mazzetto di fiammiferi, che erano molto fieri di appartenere a una nobile famiglia, il loro albero di origine, il grande pino, di cui erano solo un piccolissimo rametto, era stato un antico e maestoso albero del bosco.

Il baule volante -parte prima-

 C’era una volta un commerciante, così ricco che avrebbe potuto ricoprire tutta la strada principale e anche un vicolino laterale di monete d’argento, ma naturalmente non lo fece: sapeva come usare il suo denaro; se dava uno scellino, otteneva un tallero; era proprio un commerciante e come tale morì.
Il figlio ereditò tutti i suoi soldi e visse spensierato, andava alle feste ogni notte, costruiva aquiloni con le banconote e lanciava monete d’oro sul lago per farle rimbalzare invece di usare le pietre, perché naturalmente i soldi saltavano meglio; alla fine non gli restarono che quattro scellini, non aveva vestiti al di fuori di un paio di pantofole e una vecchia vestaglia. Ai suoi amici non importò più nulla di lui, dato che non potevano più uscire insieme per le strade; solo uno di loro, che era buono, gli mandò un vecchio baule e gli disse: “Fai i bagagli!”.

La regina della neve -parte venticinque-

 Allora le due renne si misero a saltare al loro fianco e li accompagnarono fino ai confini del paese, dove cominciava a spuntare la prima erbetta, e là i bambini salutarono le renne e la donna della Lapponia. «Addio!» dissero tutti. I primi uccellini cominciarono a cinguettare, il bosco era pieno di verdi gemme, e da li uscì cavalcando su un magnifico cavallo che Gerda conosceva (era stato attaccato alla carrozza d’oro) una fanciulla con un bel cappello rosso in testa e in mano le pistole; era la figlia del brigante, che, stanca di stare a casa, voleva andare prima verso Nord e poi, se non si fosse divertita, da qualche altra parte. Subito riconobbe Gerda e Gerda riconobbe lei; fu veramente una gioia!
«Sei proprio un bel tipo a andare in giro per il mondo!» disse al piccolo Kay. «Mi piacerebbe sapere se meriti che la gente vada fino alla fine del mondo per te!»

La regina della neve -parte ventiquattro-

 Fu in quel momento che la piccola Gerda entrò nel castello attraverso il grande portone, fatto di vento tagliente, ma lei recitò la preghiera della sera e il vento si calmò, come volesse dormire, così lei entrò in quelle sale gelide, vuote e enormi. Allora vide Kay, lo riconobbe, e gli saltò al collo, lo abbracciò stretto e gridò: «Kay! Dolce piccolo Kay! Finalmente ti ho trovato!».
Ma lui rimase immobile, rigido e gelido; allora la piccola Gerda pianse calde lacrime, che gli caddero sul petto, gli entrarono nel cuore, sciolsero il grumo di ghiaccio e corrosero il pezzettino di specchio che si trovava dentro; Kay la guardò e lei cantò l’inno:
Le rose crescono nelle valli, laggiù parleremo con Gesù Bambino!

La regina della neve -parte ventitré-

 Settima storia. Che cosa era successo nel castello della regina della neve e che cosa accadde in seguito
Le pareti del castello erano formate dalla neve che cadeva, le finestre e le porte dai venti che soffiavano; c’erano più di cento saloni, secondo la forma che prendeva la neve caduta; il più grande si allungava per molte miglia, tutti erano illuminati dall’aurora boreale e erano grandi, vuoti, gelati, luminosi. L’allegria non arrivava mai, mai c’era stato un ballo di orsacchiotti dove la tempesta potesse intonare la musica, e gli orsi camminare sulle zampe posteriori e comportarsi in modo distinto, mai c’erano stati giullari che facessero ballare gli orsi polari; mai una riunione per bere il caffè con le bianche signore volpi, tutto era vuoto, enorme e gelato nelle sale della regina della neve.

La regina della neve -parte ventidue-

 Ma la renna chiese di nuovo qualcosa per la piccola Gerda e Gerda stessa volse verso la donna di Finlandia uno sguardo così implorante, pieno di lacrime, e questa ricominciò di nuovo a strizzare gli occhi, poi portò la renna in un angolo dove le sussurrò qualcosa mentre le metteva del ghiaccio fresco sulla testa.
«Il piccolo Kay è veramente presso la regina della neve e trova tutto di suo piacimento e crede che quella sia la parte più bella del mondo, ma tutto questo è accaduto perché gli sono caduti una scheggia di vetro nel cuore e un granellino di vetro in un occhio, prima questi devono essere estratti, altrimenti non diventerà mai un uomo e la regina della neve manterrà il potere su di lui.»
«Ma tu non puoi dare qualcosa alla piccola Gerda, in modo che lei possa avere potere su tutto?»

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