La sindrome da deficit di attenzione o iperattività

In Italia gli adolescenti e i bambini in cura, al settembre 2008, erano circa 700; 1.100 circa al maggio 2009: sono i bambini e gli adolescenti che soffrono di ADHD (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder), o più semplicemente ADD (Attention Deficit Disorder), sindrome da deficit di attenzione e iperattività.
La sindrome da deficit d’attenzione ed iperattività (ADHD) è un disturbo del comportamento caratterizzato da inattenzione, impulsività e iperattività motoria, che rende difficoltoso e in taluni casi impedisce il normale sviluppo e integrazione sociale dei bambini.

Disturbi dell’apprendimento: come comportarsi in caso di dislessia

La dislessia è una sindrome classificata tra i Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) con il codice F81.0 e la sua principale manifestazione consiste nella difficoltà che hanno i soggetti colpiti a leggere velocemente e correttamente ad alta voce. Tali difficoltà non possono essere ricondotte a insufficienti capacità intellettive, a mancanza di istruzione, a cause esterne o a deficit sensoriali.
Dato che leggere è un complesso processo mentale, la dislessia ha svariate espressioni. Questa sindrome sembra strettamente legata alla morfologia stessa del cervello. La dislessia non è una malattia o un problema mentale. Secondo la definizione più recente, approvata dall’International Dyslexia Association (IDA), “la dislessia è una disabilità dell’apprendimento di origine neurobiologica. Essa è caratterizzata dalla difficoltà a effettuare una lettura accurata e/o fluente e da scarse abilità nella scrittura (ortografia). Queste difficoltà derivano tipicamente da un deficit nella componente fonologica del linguaggio, che è spesso inatteso in rapporto alle altre abilità cognitive e alla garanzia di un’adeguata istruzione scolastica. Conseguenze secondarie possono includere i problemi di comprensione nella lettura e una ridotta pratica nella lettura che può impedire una crescita del vocabolario e della conoscenza generale“.

Il bambino dice le parolacce… che fare?

Torniamo sul tema dell’educazione con un problema che diventa un vero e proprio tormento per i genitori… le parolacce. Prendiamo come riferimento educazionebambini.org, un sito completamente dedicato ai problemi che riguardamno, per l’appunto, l’educazione dei bambini.
Fino ai 2 -3 anni i bambini pronunciano tutte le parole attribuendo ad esse la stessa rilevanza; parole belle e parole brutte per lui sono uguali perché non ne comprende ancora pienamente tutte le sfumature di significato.
A questa età i bambini adorano parlare e adorano sentire il suono della loro voce. Le parole sono giochi, suoni, esercizi fonetici divertenti che hanno poi anche lo scopo di comunicare per ottenere qualcosa. Ai bambini piacciono le parolacce anche per il loro suono buffo e continueranno a ripetere la parola anche in diversi contesti, ridendosela.
La prima volta che il genitore sente il proprio figlio pronunciare una parolaccia reagisce di solito con ilarità, magari malcelata. Quando poi la parolaccia viene pronunciata durante la visita all’anziana zia, il sorriso diventa vergogna, o ira
“.

Bambini con genitori di lingue diverse: Rischio o opportunità?

Prendiamo ancora una volta il pediatra Dott. Leo Venturelli (da mammaepapa.it) come riferimento per un problema sempre più comune: sempre più coppie miste o interculturali si sposano e hanno bambini. Spesso i genitori parlano lingue diverse e si trovano addirittura in un paese che è estraneo a entrambi. Il bambino ha così a disposizione due o addirittura tre lingue da imparare per comunicare e la paura che l’opportunità si trasformi in confusione per il piccolo spesso fa rinunciare ai genitori di insegnare la loro lingua madre ai propri figli.
Ecco che cosa dice l’esperto: “In un mondo che tende alla globalizzazione e in cui le possibilità di incontro tra persone di diverse etnie o di altre nazioni è facilitato dagli scambi economici e dai trasporti, ormai è facile incontrarsi e formare coppie di genitori di due lingue diverse. Il dubbio che spesso si pongono queste famiglie è in che lingua parlare al bambino e se il fatto di utilizzare due linguaggi diversi porta a qualche conseguenza negativa inerente l’apprendimento linguistico o psicologico. Si deve dire subito che il bambino in crescita, dal punto di vista del cervello, è come una spugna che assorbe tutto quello che gli viene proposto“.

La psicologia dei bambini: bimbi che succhiano il pollice, come farli smettere

E’ un problema molto comune: molti bambini si succhiano il pollice o le dita e spesso farli smettere è una vera e propria impresa. Ci spiega come fare il Dott. Leo Venturelli, pediatra, che scrive a tal proposito sulle pagine online di “mammaepapa.it”: “Il succhiamento del pollice o delle dita o del pugno non dipende da esigenze di fame: la suzione, che già si verifica durante la vita intrauterina, si presenta generalmente nei primi tre mesi di vita; più raramente inizia più tardi, quando le mani vengono usate per giocare e per prendere degli oggetti. La suzione del pollice è presente in circa otto lattanti su dieci; a volte è sostituita dalla suzione di una pezzuola, anch’essa parte del rituale. Il bambino che succhia il dito lo fa maggiormente quando è stanco, malato o particolarmente teso“.

Mamme che lavorano: una telefonata al vostro bimbo è come un abbraccio

Buone notizie per le mamme che lavorano. Se non possono assicurare ore di coccole ‘dal vivo’ al piccolo, per colpa degli impegni professionali, il telefono è un ottimo alleato: la voce della mamma, infatti, calma un bimbo turbato proprio come un abbraccio. E questo effetto-coccola dura anche se il cucciolo di casa è già cresciutello. Lo suggerisce lo studio di un gruppo di ricercatori degli Stati Uniti, che ha coinvolto più di 60 ragazzine. Il team le ha messe in una situazione stressante, controllando le reazioni ormonali dopo una telefonata della mamma o un abbraccio.

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